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Parrocchia e Santuari
Domenico Sigalini - Divino Amore 2005
La parrocchia oggi può essere descritta al meglio da quanto scriveva Giovanni Paolo II agli assistenti dell’AC alcuni anni fa:
Domenico Sigalini - Divino Amore 2005
- la “casa della comunità cristiana” a cui si appartiene per la grazia del santo Battesimo;
- la "scuola della santità” per tutti i cristiani, anche per coloro che non aderiscono a determinati movimenti ecclesiali o non coltivano particolari spiritualità;
- il “laboratorio della fede” in cui vengono trasmessi gli elementi basilari della tradizione cattolica;
- la “palestra della formazione”, dove si viene educati alla fede ed iniziati alla missione apostolica”
Dice la nota dei vescovi italiani (30 maggio 2004):
“Il futuro della Chiesa in Italia, e non solo, ha bisogno della parrocchia. È una certezza basata sulla convinzione che la parrocchia è un bene prezioso per la vitalità dell’annuncio e della trasmissione del Vangelo, per una Chiesa radicata in un luogo, diffusa tra la gente e dal carattere popolare. Essa è l’immagine concreta del desiderio di Dio di prendere dimora tra gli uomini. Un desiderio che si è fatto realtà: il Figlio di Dio ha posto la sua tenda fra noi (cfr Gv 1,14). Per questo Gesù è l’«Emmanuele, che significa Dio con noi» (Mt 1,23)”.
Occorre uno spazio, un luogo, soprattutto un tessuto di relazioni, in cui un giovane, un ragazzo, un adulto possa dire a qualcuno: voglio avere vita piena, voglio una vita alla grande, non mi interessano le mezze misure, non mi adatto al galateo con cui mi state ingessando la vita. Vivo una vita sola e la voglio vivere al massimo. Non mi dire che bisogna tenere i piedi per terra, che devo cominciare a mettere la testa a posto, che è finito il tempo delle pazzie. Io voglio vivere una vita piena.
Ebbene, Gesù lo guardò, ma lui ha abbassato subito lo sguardo, gli stava leggendo dentro un cuore distribuito a brandelli sulle ricchezze che possedeva.
E Gesù allora gli spara una raffica di verbi: Va’, vendi, regala, vieni e seguimi.
La parrocchia è lo spazio di questa continua provocazione. Lavora per togliere le fasce dal cuore e far risplendere il volto di Gesù. Lo fa con tanta umiltà, non certo dall’alto di una testimonianza pulita, ben riuscita, ma nel mezzo delle incapacità e fatiche nel credere e nell’affidare a Dio la vita. Se non mette gli uomini di fronte alla raffica di verbi di Gesù non è una parrocchia cristiana, ma solo un Mc Donald delle cose di chiesa.
La vita cristiana va proposta per bontà e tenerezza e non per merito. La fede deve dare gusto al vivere. In una società del merito, Cristo è la chiave di volta del sentirsi figli di Dio e del vivere da fratelli. E’ insomma il richiamo a dare alla fede la caratteristica della contemplazione. Siamo chiamati ad offrire il gusto della vita con la stessa forza e impegno con cui proponiamo l’amore tra i fratelli. Questo esige di vivere al cospetto di Gesù, prima di inventare regole.
A partire da questa precomprensione, che non è pregiudizio, ma una volontà di ricollocare la parrocchia con dignità nella progettualità della chiesa di oggi, si sta compiendo una scelta di fondo, pure suggerita dal documento dei vescovi: “riposizionare la parrocchia in un orizzonte più spiccatamente missionario.
Due sono i salti di qualità che la parrocchia sta facendo e in questi due grandi sforzi si colloca al meglio il rapporto con i santuari:
Il passaggio da cura animarum a scelta missionaria e lo slancio del primo annuncio
compiti di una cura animarum
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L’idea che se io riesco a organizzare bene la parrocchia con il Consiglio pastorale, il consiglio degli affare economici, una bella Azione Cattolica, un bel gruppo di catechisti, gli animatori del mondo giovanile con tutti i possibili gruppi per tutte le età, un bell’oratorio, una bella Chiesa per le celebrazioni, con una bella corale, una caritas vivace, le pontificie opere missionarie, qualche buon diacono, delle belle processioni… allora sì che si può parlare di rinascita del cattolicesimo e di parrocchia all’altezza dei tempi in cui viviamo.
Voi sapete poi che la gente si fa pure un’altra domanda, che non riteniamo offensiva, anche se fotografa le nostre debolezze, del tipo: se qui ci fosse un prete un po’ più cattolico o almeno credente, allora sì.
Credo che affrontare il tema così non ci porta da nessuna parte: aumenta la nostra depressione e ci fa sentire impotenti Infatti.
Posso avere tutte le liturgie più belle, gli oratori più attrezzati, gli animatori più preparati, le corali che vincono premi a tutte le rassegne, ma mi può capitare, e capita, che la gente non passi più da qui o che venga solo per fare i suoi interessi, ma non per mettersi alla luce della Parola di Dio, che scambi la parrocchia per un distributore di cose di Chiesa. Capita che ciò che viviamo, o come noi lo viviamo, non interessi proprio nessuno, che la gente, che dalla mattina alle 6 alla sera alle 19 sta fuori per lavoro, abbia molto altro cui pensare che non alle nostre riunioni, che la cultura in cui sono immersi i nostri ragazzi sia per la scuola sia per la mentalità dei mass media non permetta loro nemmeno di immaginare che noi abbiamo da mettere a disposizione ciò che a loro è necessario. Capita cioè che la Chiesa non dice più niente a nessuno, se non come agenzia del sacro, supermercato delle benedizioni, concentrazione di servizi religiosi da usare quando serve e non troppe volte. Il parrocchiano medio è passato da praticante a occasionale, da appartenente a turista del religioso, da pellegrino a randagio.
La scelta da fare è quella di comunicare a tutti l’annuncio di salvezza
La Chiesa oggi ci dice che occorre sbilanciarci di più sul versante dell’annuncio della fede, puntando di più sulla Parola di Dio, sulla preghiera, su iniziative che hanno l’obiettivo di far incontrare gli uomini con la proposta sconvolgente dell’amore di Dio in Gesù Cristo. In termini espliciti.
Una persona di cultura media e di frequentazione anche solo occasionale delle nostre parrocchie, i giovani che girano attorno alla vita della comunità cristiana alle feste solenni o alle processioni non riescono a capire quale è il centro delle nostre espressioni di fede e esperienze di vita ecclesiale.
La catechesi e la teologia hanno fatto grossi sforzi per mettere al centro Gesù Cristo nella attività formativa e scientifica, ma la pastorale nasconde ancora Gesù Cristo. Un ragazzo che abbandona la chiesa dopo la Cresima non la abbandona perché è stufo di Gesù Cristo, ma per altri motivi e se gli domandate dopo qualche anno quale era il centro della vita della parrocchia in cui viveva, per che cosa si scaldavano preti, suore, catechisti… non vi risponde Gesù Cristo, ma tutta una serie di comportamenti senza centro. A noi preti della generazione del Concilio sembra la scoperta dell’acqua calda questa centralità di Gesù da proporre e purtroppo non ci convince molto. Ricordo le polemiche in AC, quando dovendo applicarci a un nuovo progetto formativo abbiamo notato che il vecchio progetto formativo non esprimeva esplicitamente questa centralità di Gesù. Significa che allora non si educava bene? Assolutamente no, significa però che oggi se non si evidenzia la persona di Gesù Cristo e non si esplicita la sua assoluta centralità, non si educa nessuno ad essere credente in Gesù. Sta capitando quello che avviene in ogni famiglia: la mamma ieri non ha mai detto ai suoi numerosi figli che voleva loro bene, non faceva coccole, non ne aveva tempo; ma nessuno allora dubitava dell’amore della mamma. Oggi invece se non fai le coccole i figli vanno in depressione, se non dici continuamente che vuoi loro bene si sentono frustrati… E’ nota quella frase di Dylan Dog.. Da bambino sono sempre stato una nullità. Mia madre mi scambiava per mio fratello anche se ero figlio unico.
Così è anche per noi: non è scontato che chi ci incontra o che ha a che fare con noi veda nella nostra missione la figura di Gesù, capisca che tutta la nostra organizzazione ha unicamente come scopo quello di far incontrare agli uomini e donne di oggi Gesù come salvatore.
Il primo annuncio
Il primo annuncio è quella proposta, centrata sul contenuto fondamentale della fede, che la comunità cristiana fa per mettere le persone in condizione di decidersi per Cristo, per aiutare a cogliere Gesù come salvezza globale della vita, come senso e speranza definitiva, come il Dio della pienezza e dell’eternità. Il primo annuncio non si preoccupa di sistematizzare, di tutta la coerenza dei comportamenti, delle regole di vita, ma di far scattare nella persona la fiducia radicale in Gesù morto e risorto e di far aderire alla sua Parola. E’ solo un primo atto, che ne esige altri, che chiama in causa un catecumenato, una iniziazione, una catechesi e un mistagogia. Spesso purtroppo pensiamo che tutto questo sia primo annuncio e perciò da fare contemporaneamente e che quindi gli spazi al di fuori della vita e della struttura della parrocchia non siano assolutamente adatti a tutto questo percorso. Il primo annuncio non è un percorso di vita cristiana, ma è un percorso di avvicinamento alla vita di fede e di ascolto-accoglienza del suo centro. Quindi non sono necessarie sale di catechismo, né aule per la celebrazione, non è legato ai sacramenti, non ha bisogno che sia fatto nella comunità, anche se ha bisogno che sia essa a prendere l’iniziativa.
Le responsabilità e le risorse di un santuario in questa duplice prospettiva della parrocchia oggi.
Il santuario intercetta tutti questi nuovi modi di vivere la fede, tutto questo bisogno del sacro, molto più di una parrocchia. E’ il punto di arrivo di una domanda religiosa che, per esempio nel mondo giovanile, è molto alta ancora. E’ una domanda religiosa da educare prima che da soddisfare con il metodo della scommessa e non della domanda risposta.
Un santuario in genere quando cerca di dare risposta alla domanda religiosa è provocato a trasformarsi in una fabbrica di botole per tombini, cioè è costretto a rapportarsi a persone che pensano alla domanda come a un buco per metterci sopra una risposta prefabbricata, magari in serie, per chiudere il problema e passarci sopra tutta la vita. Invece occorre che si faccia provocare sempre dalla domanda, scavandone significati non percepibili a prima vista, nascosti dalla incapacità generalizzata di dare un nome a quello che si è e si vive (sfida) e metta a disposizione elementi per una comprensione più profonda della domanda e la sorpresa di una prospettiva nuova (scommessa). Non bara sulla domanda, non la snobba, non la evita e nemmeno la disprezza, ma la accoglie senza farsene imprigionare. Se mi domandi un pallone non ti dico che hai bisogno di un’ora di adorazione, ti do il pallone, ma il modo con cui te lo do, le cose che ti aiuto a scoprire mentre giochi, i compagni e le persone che ti metto accanto saranno tali che quando mi riporterai il pallone avrai trovato cose che neanche ti immaginavi di ottenere quando sei venuto candidamente a chiedermi il pallone. Mi chiedi qualcosa che può dare risposta alla tua domanda religiosa e hai già magari pensato come deve essere. Invece io ti voglio sorprendere. E’ la fede che ci aiuta ad acquisire un tale metodo, perché la fede non è mai puramente responsoriale alle domande; esprime sempre un oltre, proprio quell’oltre che ogni domanda invoca e non trova nella scienza e nella stessa saggezza umana. Purtroppo è anche quell’oltre che crede non sia possibile trovare nella sua parrocchia.
La posizione privilegiata di partenza di un santuario è quella di essere meta spontanea di questa ricerca religiosa, che è molto da purificare, ma sicuramente da accogliere.
Occorre però inscrivere in questa sete di Dio, un cammino di ricominciamento della fede. Credo che il cambiamento più grande da fare sia quello di passare da tempio della devozione a spazio di primo annuncio.
Questo esige di attrezzarsi a provocare i fedeli ad avere un altro tipo di rapporto con il sacro, un rapporto che è capace di stanare dal fondo della propria vita le domande vere.
Elementi indispensabili di metodo:
- una bella relazione personale. E’ fatta di dialogo, gioco, simpatia, accoglienza, disponibilità, condivisione della situazione, farsi carico della sofferenza o condividere la gioia…Spesso la gente è sola e abbandonata a se stessa e ha bisogno di comunicare su cose serie.
- una provocazione a farsi domande a partire dalle esperienze più comuni della vita e della cultura in cui si vive. Sono utili per far nascere domande anche i successi letterari, filmografici, artistici…. perché non sono appena frutto di pubblicità, ma interpretano anche domande delle persone.
- Una proposta precisa che diventa annuncio. Non sempre e non necessariamente il primo annuncio si risolve nel luogo del primo approccio, ma il santuario si può attrezzare per offrire anche questi spazi. In genere esige che la persona rielabori l’incontro che ha avuto e che lo ha interessato e decida di buttarsi in questa nuova ricerca. Qui la comunità, il gruppo, il clima tra i cristiani giocano molto.
- Una decisione di approfondire. E’ importante non lasciare sola la gente cui è stato fatto il primo annuncio e che lo ha fatto risuonare come bella notizia nella sua vita. Occorre proporgli sempre tutte le possibilità concrete di poter approfondire, continuare, essere accolti, trovare riferimenti
Per i giovani questo già avviene dopo i grandi pellegrinaggi delle gmg. Molti santuari si sono riorganizzati proprio per aiutare i giovani a dare risposte meno devozionali e più di fede alle proprie domande religiose.
Si apre uno spazio privilegiato per le confraternite e le compagnie, che gravitano attorno a certi santuari (penso in particolare alla SS. Trinità a Vallepietra), se hanno in parrocchia un impianto di catechesi sistematica.
I santuari allora possono attrezzarsi anche con nuove figure pastorali che si specializzano nel primo annuncio, con caratteristiche diverse dai confessori e dai predicatori, nuove figure di laici di cui la chiesa deve farsi carico, né catechisti, né predicatori, ma convinti ascoltatori della vita, lettori delle sue domande, appassionati della Parola, innamorati del centro della fede e disponibili al dialogo.
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