nella sua "Casa di campagna"

Descrizione dell'immagine della Madonna del Divino Amore
secondo la critica fatta nel 1940 quando l'affresco fu strappato dal vecchio muro
del Prof. CARLO DEL VECCHIO
Non sappiamo con certezza quando l'affresco sia stato eseguito, mancandoci a tutt'oggi uno studio ordinato e completo dì
esso; comunque, ci sembra chiaro che le
sue caratteristiche diano una indicazione abbastanza approssimativa, del periodo di
tempo in cui questo dipinto può essere collocato, e cioè verso la fine del 1300 ed i
primi anni del secolo seguente. Queste caratteristiche possiamo identificarle sia nella
tecnica, sia nel tipo iconografico del soggetto, specie nelle linee che formano la somatica del viso della Madonna.
Si noti a questo proposito, la nobiltà dei
lineamenti, i suoi grandi occhi tagliati a
mandorla, il naso dritto, la bocca non troppo grande, il segno di graffito che circonda
le parti principali delle figure e dei panneggi (graffito che gli antichi facevano con un
grosso chiodo acuminato per delimitare,
sull'intonaco fresco, i campi principali del
disegno), le aureole bacellate che sicuramente erano dorate.
Se l'artista è ignoto, esso però apparteneva con ogni probabilità a quella scuola
romana che seguiva fin dai secoli IX e X
le linee maestre di una eccellenza della tradizione pittorica che affonda le sue radici
nel passato. Questa romanità di origini si
faceva notare anche nei mosaici, che pur
conservando alcuni residuati di schermi bizantini, in Iacopo Torriti non disdegnò rinunciarsi nei modi stilistici usuali. L'artista a cui vogliamo alludere è Pietro Cavallini, che in quel secolo dominò incontrastato
questa scuola. Egli fece più fresca rifluire
la nota veristica ed umanitaria, affermandosi nei mosaici e negli affreschi, come il
precursore della grande pittura che stava
per fiorire in Toscana. L'arte del Cavallini
è una ricerca di espressione umana e ideale
ad un tempo, che ha già l'individualità del
gusto occidentale mediterraneo, preludio
della forma plastica di Giotto, del quale
la critica moderna lo ritiene oggi suo maestro spirituale. Sebbene i più importanti
cicli delle sue pitture murali siano andati
perduti, come quello di S. Paolo e di S.
Pietro, ci restano ancora oggi i lavori musivi di S. Maria in Trastevere, la Madonna di
S. Crisogono ed altri, oltre un grande esempio di pittura in affresco, cioè la parte
superiore del Giudizio Universale, che un
fortuito caso riportò alla luce ed alla visione ammirata degli scopritori del nostro
secolo (meno di 60 anni or sono) nel Coro
delle Benedettine Olivetane, posto a ridosso della parete di fondo della Basilica di
S. Cecilia.
Nel nostro dipinto della Madonna, sebbene rovinato dal tempo, vi si riscontrano
parecchi elementi, come già si è detto, che
lo pongono proprio nel ciclo di detta scuola romana. Non sarà stato certo il Cavallini ad eseguirlo, ma certamente uno di
quei pittori, se pur più modesto, della sua
sequela; anzi possiamo supporre che la figura centrale, la Madonna con il Bambino,
sia stata opera di un artista, che fece poi
terminare le figure dei due angeli, meno belli del gruppo centrale, da altri più di lui modesti, ma sempre operanti nella scia
tracciata dal Cavallini.
L'affresco è molto deteriorato dal tempo
perchè, essendo dipinto, come si è detto,
sull' esterno della torre principale del Castello, attraverso i secoli aveva subito tutte
le intemperie del tempo ed i raggi distruttori del sole.
Dopo il primo miracolo (1740) fu rimosso dalla torre; come si usava allora fu tagliato o segato direttamente il rettangolo
del muro medioevale a tufi, sul quale era
l'intonaco affrescato, sorreggendo e legando il tutto con travetti di legno che tutt' ora
sono in loco.
Questa constatazione fu fatta nel 1940,
quando il Rettore del Santuario D. Umberto Terenzi, preoccupato dello stato dell'intonaco che in molte parti presentava
rigonfianti e sicuri accenni di distacco, minacciandone l'irreparabile caduta con relativa perdita del dipinto, decise provvidenzialmente di farlo completamente staccare, incaricando il prof. Buttinelli del Gabinetto del Restauro del Vaticano, di procedere al detto lavoro.
L'affresco, unitamente al suo intonaco, fu accuratamente strappato; vennero allora
alla luce, nel retro di esso, i tufelli medioevali simili a quelli della Torre ed i travetti
in legno che legano questo prezioso e storico rettangolo di muro.
Con molta attenzione tolti dal dipinto i
vari restauri che per lungo tempo lo avevano deturpato, ultimo, quello eseguito nel
1914, ricomparve l'antica immagine, rovinatasi, ma molto più bella e nobile di quella che eravamo soliti vedere, ed il volto
della Madonna si rivelò celestiale con la
espressione luminosa dei grandi dolcissimi
occhi. Non più il voluminoso cuscino sul
quale poggiavano i piedi del Bambino, erroneamente dipinto dai malaccorti restauratori della fine del settecento e seguenti.
Questi lo fecero, quasi sicuramente, per
camuffare il tratto d'intonaco che non risulta della medesima qualità dello antico,
poi reintegrato perchè caduto. Non più sul
braccio destro della Madonna, sul quale è
seduto il Bambino Gesù, il panno di stoffa bianca che risulta essere invece parte
del manto rosso di questi. La Madonna è
in trono - giusta l'iconografia del tempo -
ai due lati s'intravedono gli angoli di un cuscino rosso sul quale Essa è seduta;
ha la tunica, come il manto del Bambino,
di un rosso pompeiano; il manto di Lei
è azzurro verdastro con sotto qualche riflesso rosso. La tunichetta che si vede alla spalla e nel braccio destro del Bambino, la cui
mano alzata indica con il dito la Sua Mamma Celeste, è di tono scuro grigio verdastro.
Attenendoci agli schemi dell'iconografia
antica, al disotto della mano destra della
Madonna che sorregge il Bimbo, al posto
del pesante cuscino dipinto sul vecchio restauro, dovevano esservi le ginocchia della
Vergine, sulle quali poggiavano direttamente i piedini di Gesù. Il tutto risulta ben delineato in una ricostruzione curata dal sottoscritto che aveva seguito nel 1940 le fasi
del distacco e dell'ultimo restauro, ricostruzione studiata in tutte le sue parti, compreso lo Spirito Santo, con riferimenti tratti da mosaici e pitture murali del Cavallini, ricostruzione che servì per la stampa delle nuove immagini.
Nel centro del fondo del dipinto vi è una
cortina di tono giallo dorè invecchiato, fissata in alto con dei fermagli ad un arco ribassato.
Ai lati della Vergine SS.ma due
Angeli, con grandi ali in atto di venerazione: uno a sinistra di chi guarda, regge
un aspersorio, l'altro a destra, un turibulo;
vogliono indicare il primo le benedizioni di Dio sulla Madonna, e, per la Sua intercessione, sugli uomini; il secondo, la preghiera che nella S. Scrittura e nella Liturgia è simboleggiata appunto dall'incenso che sale al trono dell' Altissimo:« in odore di soavità ». In quanto al colore delle tuniche degli angeli, possiamo osservare, che
in quello che ha il turibolo si presenta di
tonalità biancastre e fredde e sulla manica
a metà del braccio sinistro una fascia azzurra, il manto un giallastro ocra, alquanto
chiaro. La tunica dell'altro è meno fredda,
con toni bianco giallastri, il manto in giallo
ocra scura con qualche ombra brunastra.
Le ali, pur indicandoci varietà di toni e di colori sono molto abrasate.
Il fondo generale sul quale si stagliano
le figure è di un tono scuro verdastro, qua
e là molto incerto e non uniforme, spesso
abrasato; in basso all'altezza della mano
destra della Madonna, s'intravedono due
righe come l'inizio di una zoccolatura più
oscura. Le aureole delle figure, come già si è detto, sono bacellate, quella del
Bambino oltre alla baccellatura ha la croce
greca; esse presentano nel loro fondo un
rossastro, quasi fossero passate con bolo
armeno per ricevere sopra la doratura che
sicuramente in origine avevano; sul petto
della Madonna, verso la spalla sinistra fanno capolino i resti di una stella. Per completare la descrizione, diremo ancora che
la composizione in alto è chiusa da un arco
ribassato che si prolunga ai lati con due
spallette; l' estradosso dell'arco ha tonalità di terra rossa qua e là abrasato facendo
trasparire altri toni di fondo scuro.
Con il distacco dell'affresco fu eliminato
il periodo di una completa distruzione del
simulacro, fu rinforzato con malta su una
grossa rete metallica sorretta da un robusto
telaio, cosa che permise nei tragici momenti
dell'ultima guerra e dei bombardamenti,
il trasporto precauzionale della preziosa
devota immagine a Roma, nella Chiesa di
S. Ignazio, perchè fosse più vicina ai suoi
diletti figli.
A questo punto, per dovere di verità storica, dobbiamo dichiarare che l'antico affresco vero e proprio è tutto compreso in
quello che abbiamo fin qui descritto. Purtroppo,
la parte sovrastante, che riguarda
lo Spirito Santo, non è autentica. Infatti
essa dopo attente osservazioni risulta opera grossolana, eseguita solo dopo che l'affresco col sottostante muro medioevale fu
collocato nella Chiesa eretta nel 1744 nel
centro del Castel di Leva: da tutto ciò, se
ne può quasi certamente dedurre che l'autentico fosse andato perduto quando il muro fu tagliato dalla torre, e, di conseguenza poi, per non lasciare la figurazione della Madonna senza il suo principale attributo, fu ridipinto molto alla buona, inquadrando la colomba fra quei due drappi
verdi che indicano chiaramente il cattivo
gusto dell'antico, e forse, improvvisato restauratore. Comunque sia esso è oggi un elemento acquisito dalla iconografia di questo nostro Simulacro e, senza del quale non potremmo immaginarlo, poichè lo Spirito Santo rappresentato dalla colomba simbolica è proprio il Divino Amore che ha dato
la sua mirabile qualifica a questa Madonna.
Per completare queste note generali sul
dipinto e per essere fedeli alla cronaca, dobbiamo riferire che dopo il distacco del 1940
il Rettore del Santuario invitò ad esaminarlo
il prof. Prandi Direttore del Gabinetto
dei Restauri e Mons. Giovanni Fallani oggi
Presidente della Commissione Pontificia di
Arte Sacra, affiancati poi dal pubblicista
Guido Guida; tutti furono d'accordo nell'intravvedere, sebbene in un maestro più
modesto, l'impronta non spregevole della
scuola romana del Cavallini. Essi osservando attentamente il dipinto, dopo aver rilevato le molte osservazioni ed apprezzamenti già sopra descritti, fecero anche attenzione ad una abrasatura che intaccava, sia pur leggermente, oltre il dipinto anche lo stesso intonaco, di andamento ricurvo verso
il basso, sotto il ginocchio del Bambino.
Tale abrasatura fece supporre provocata da
un oggetto appeso dinanzi al dipinto e scendente dall'alto, che, con il vento, poteva
facilmente dondolarsi, strusciando sull'affresco, ossia quel lume alimentato dalla
pietà dei pastori e dei contadini, lampada
di cui si parla in un documento epigrafico
del 1741 e che fu certo richiamo al pellegrino, inducendolo a raccomandarsi alla
Vergine SS.ma raffigurata in quella effige,
per essere liberato dall'ira di un branco di
cani pastori che lo circondavano e stavano
per assalirlo.
