Appendici

La profezia di San Luigi Orione

"Sulla tua tomba fioriranno le opere", aveva predetto un giorno San Luigi Orione a Don Umberto Terenzi. E oggi quelle parole profetiche si sono concretamente realizzate. Non solo perché il Divino Amore in così poco tempo è diventato un centro di pietà popolare la cui fama ha varcato di gran lunga i confini della capitale e della regione (già nel 1975 un settimanale non sospetto come L’Espresso stimava un afflusso annuo di due milioni di pellegrini). Ma, soprattutto, perché proprio in questi anni si è portato a compimento il voto formulato dai romani durante il secondo conflitto mondiale. "Vale di più una benedizione di un Santo sopra un’opera di Dio, che tutti i mezzi umani a nostra disposizione", amava ripetere Don Terenzi. E la benedizione di San Luigi Orione sta portando i suoi frutti.

Nei giorni drammatici della primavera del 1944 i romani supplicarono la Vergine del Divino Amore perché la città fosse risparmiata dalla devastazione della guerra. Da parte loro, i fedeli si impegnavano a ricondurre la propria vita a cristiana austerità di costumi e a realizzare a Castel di Leva un’opera di religione e di carità.

Finita la guerra, e superata la fase difficile e transitoria della ricostruzione, i romani si diedero da fare per assolvere il voto. Don Terenzi tentò in mille modi di provvedere alla costruzione di un nuovo tempio, più ampio e solenne, con il quale onorare la Madonna del Divino Amore "Salvatrice dell’Urbe". Alla fine degli anni Cinquanta avviò anche la costruzione della Casa del Pellegrino, con la speranza di poter realizzare anche il nuovo Santuario. Ma le difficoltà burocratiche e la scarsità dei finanziamenti gli impedirono sempre di realizzare quest’opera.

Oggi, invece, ad oltre trent’anni dalla sua morte, il voto solenne dei romani è stato realizzato. Il 19 febbraio 1991 venne firmata la concessione edilizia per la costruzione del nuovo Santuario. L’8 gennaio del 1996 il Cardinale Vicario Camillo Ruini ha posto la prima pietra di quello che, con l’avvento dell’anno giubilare del 2000, è diventato il nuovo Santuario. La struttura, in grado di accogliere oltre 1500 pellegrini, è stata realizzata ai piedi della collina, fuori dalle antiche mura, senza violare l’incanto della campagna romana e il complesso monumentale settecentesco.

Contestualmente è in via di completamento la realizzazione di un’opera di carità, la "Casa per gli anziani in solitudine", edificata nello stesso luogo dove precedentemente c’era il vecchio Seminario per la formazione dei futuri Sacerdoti Oblati.

Inoltre nel 2004 è stato completato il Polo educativo del "Centro della gioia", che si affianca al Polo sanitario già attivo.

Ulteriori strutture, sorte per l’accoglienza, sono la "Casa Don Umberto Terenzi", la "Casa Madre Elena" e il "Casale San Benedetto". "I voti sono delle promesse forti, e i romani hanno mantenuto la promessa fatta alla Madonna tanti anni fa", commenta l’attuale Rettore del Santuario, Don Pasquale Silla.

C’è poi un altro aspetto, forse ancora più importante, della profezia di San Luigi Orione. È il riconoscimento accordato dalla suprema autorità della Chiesa all’opera di Don Umberto Terenzi. Per la prima volta un Papa è giunto fino al Divino Amore. Anzi, Giovanni Paolo II è venuto in pellegrinaggio a Castel di Leva ben tre volte: pochi mesi dopo la sua elezione, il 1° maggio 1979, per l’apertura dell’Anno Mariano, il 7 giugno del 1987, e per la Dedicazione del Nuovo Santuario, il 4 luglio 1999. È stato un po’ come porre il sigillo della benevolenza divina all’opera instancabile di questo sacerdote romano, Don Umberto Terenzi, che molti incominciano a guardare come modello di vita cristiana.

Il 29 febbraio 1992 il Cardinale Vicario Camillo Ruini ha dichiarato Servo di Dio Don Umberto Terenzi; il 23 gennaio 2004 ne ha aperto ufficialmente la Causa di Beatificazione e Canonizzazione nella Sala della Conciliazione del palazzo Lateranense. "Sulla tua tomba – gli aveva predetto San Luigi Orione – fioriranno le opere".



Il significato dei miracoli

Nella sua straordinaria semplicità, la storia della Madonna del Divino Amore si può riassumere davvero con poche parole. Il suo sorgere non è legato, come accade per altri importanti e più noti luoghi di devozione, a speciali apparizioni della Madre del Redentore.

L’origine della Madonna del Divino Amore è legata, invece, esclusivamente al «miracolo». Il Santuario romano si presenta all’uomo della strada con un approccio più semplice, ancora più accessibile. Non ci sono messaggi da conoscere, simboli da decifrare, nozioni da imparare. C’è il miracolo nudo e crudo. C’è un fatto. C’è un avvenimento straordinario. C’è Dio Padre, il Mistero buono che ha creato e continuamente crea l’universo, che si interessa alle miserie e ai bisogni, anche materiali, delle sue creature.

Il miracolo per la Chiesa costituisce come la "prova" delle verità di fede. Non a caso, per poter proclamare una persona santa, o anche solo beata, oltre alla pratica delle virtù cristiane in grado eroico è richiesto il riconoscimento dell’autenticità di almeno un miracolo. Non potrebbe essere altrimenti. L’intera vita terrena di Gesù è inseparabilmente legata ai miracoli, a questi segni sensibili e straordinari, al di sopra di tutte le leggi e le forze della natura. Si pensi solo al "miracolo" della sua incarnazione nel seno verginale di Maria; o al prodigio operato trasformando l’acqua in vino alla nozze di Cana, che ne segnò l’iniziò della missione pubblica.

Il nuovo Catechismo della Chiesa cattolica ribadisce pertanto giustamente che "i miracoli di Cristo e dei santi sono segni certissimi della divina Rivelazione», sono "motivi di credibilità" e mostrano che "l’assenso della fede non è affatto un cieco moto dello spirito". Inoltre, insegna il Catechismo, i miracoli sono segni "adatti ad ogni intelligenza" (CCC 156). Con qualsiasi grado d’istruzione, dall’analfabeta al premio Nobel, i miracoli sono comprensibili da tutti. Così come possono essere avvertiti nel loro significato e suscitare la conversione del cuore prescindendo dall’appartenenza ad un determinato ceto sociale, dal povero come dal ricco; o perfino (sommo scandalo per gli ipocriti e i farisei di ogni tempo) astraendo dalla moralità del comportamento, dal più religioso degli asceti al più incallito dei peccatori.



La ragionevolezza della fede

Se compito del cristiano – come è stato autorevolmente indicato dai padri conciliari del Vaticano II – è quello di leggere i "segni dei tempi", di scrutare la storia per carpirne il suggerimento di Dio, allora proprio il primo miracolo del Divino Amore, nonostante la considerevole distanza temporale, ma anzi in un certo senso proprio a motivo della sua collocazione storica, costituisce un "segno" di straordinaria importanza e attualità per i fedeli che si accingono a varcare la soglia del terzo millennio dell’era cristiana.

Pur accaduto oltre 250 anni fa, il miracolo del Divino Amore continua ad essere una provvidenziale provocazione per l’uomo che orgogliosamente si definisce moderno o postmoderno. Accade nel 1740 e si colloca perciò quasi nel bel mezzo di un secolo che risulterà determinante per la formazione della mentalità comune dei secoli successivi, sino ai giorni nostri. Il Settecento è caratterizzato, infatti, dall’affermazione di una cultura, quella «illuminista», fiduciosa esclusivamente nei "lumi della ragione".

L’uomo diventava misura di tutte le cose. La ragione umana, la Dea Ragione, era in grado di spiegare ogni aspetto della realtà senza dovere più ricorrere all’antica «superstizione» cristiana. Dio era eliminato sin dalla radice nella storia umana. L’universo, le stelle, la terra, l’uomo stesso non erano più il frutto della creazione divina, come sino ad allora si era ingenuamente creduto, ma solo del "caso", di semplici e pure «coincidenze». Si esclude per principio, a priori, anche soltanto la "possibilità" che Dio possa esistere e manifestarsi.

Il miracolo del Divino Amore offre perciò all’uomo moderno un forte richiamo alla categoria stessa di "possibilità". Una riscoperta del vero significato di ragione, che per la tradizione cristiana è uno sguardo aperto, una finestra spalancata sulla realtà. Senza paraocchi o pregiudizi.

Albert Einstein, il famoso scienziato, premio Nobel per la fisica, affermava che chi non riconoscesse "l’insondabile mistero, non potrebbe essere neanche uno scienziato": non potrebbe fondare la categoria della possibilità, fondamentale per ogni seria ricerca.

Non si tratta però soltanto di riconoscere, in astratto, l’esistenza di un Essere superiore. Il nocciolo del problema non è ancora questo. La mentalità dominante arriva oggi a "tollerare" una fede religiosa, purché questa non disturbi.

Il miracolo, e in particolare – per la sua collocazione storica – il miracolo del Divino Amore viene allora ad urtare pesantemente proprio contro un altro postulato su cui si è costruito l’orizzonte spirituale nel corso degli ultimi due secoli: Dio, quand’anche esista, non può agire nel mondo. "Dio, se c’è, non c’entra", sintetizzava p. Cornelio Fabro per significare che Dio viene immaginato dai più come una semplice ininfluente aggiunta a tutte le cose della vita.

Al contrario il miracolo sta ad indicare il segno del Dio presente, che agisce «qui» e «ora». I miracoli, pertanto, non appartengono soltanto all’inizio del fatto cristiano, ma accompagnano la Chiesa durante tutto il suo pellegrinare nella storia. È questo il punto di contrasto fra cristianesimo e modernità. Non tanto la negazione di Dio, quanto della sua presenza operante «qui» e «ora». Il richiamo a questa presenza è anche la lezione che all’uomo d’oggi offre il Santuario del Divino Amore.