L’Eucaristia,
la Madonna
e don Umberto Terenzi
Riflessioni sul mistero eucaristico
alla luce del Carisma
del Servo di Dio don UmbertoTerenzi
A cura di don Omar Giorgio Dal Pos, O.F.M.D.A.
Prefazione
Ritengo giusto riportare il testo manoscritto della Madre Generale Maria Lucia Bonaiti, in quanto giustifica questo secondo tascabile “L’Eucaristia, la Madonna e don Umberto”.
Guarcino, il 9 luglio 2004
Rev.mo don Giorgio,
con la presente le chiedo formalmente di approfondire e scrivere un testo tascabile che prenda in esame il binomio Maria ed Eucaristia nella spiritualità di don Umberto Terenzi, mettendo in evidenza le caratteristiche che distinguono la devozione eucaristica nelle Figlie e nei Figli della Madonna del Divino Amore, presentando anche il significato biblico e teologico della devozione in sé.
Il Santo Padre nella sua lettera enciclica sull’Eucaristia al n. 57 dice: “La Chiesa e l’Eucaristia sono un binomio inscindibile, altrettanto occorre dire del binomio Maria ed Eucaristia.” Ed ancora al n. 53: “Maria ci può guidare verso questo Santissimo Sacramento perché ha con esso una relazione profonda.” Credo che questa relazione di cui parla il Papa sia molto presente nelle meditazioni di don Umberto. Lui amava l’Eucaristia e Maria perché Maria lo guidava alla contemplazione del Mistero Eucaristico.
Il Santo Padre ha indetto l’Anno Eucaristico dopo aver scritto e dedicato una lettera enciclica a questo mistero di Amore. Sarebbe molto utile e interessante per noi Figli e Figlie avere uno strumento circa questo argomento che ci faccia apprezzare ancora una volta di più il nostro Fondatore, il carisma che ci ha lasciato e che ci identifica nella Chiesa, per aumentare nella gratitudine al Signore e nella stima di appartenere all’Opera della Madonna del Divino Amore.
Ancora una volta confido nella sua generosa dedizione alla ricerca e all’elaborazione per raggiungere lo scopo.
Reverendo don Giorgio, accompagnerò questo suo nuovo lavoro con la mia povera preghiera perché lo Spirito Santo, il Divino Amore, le conceda luce e saggezza per immergersi ancora una volta nelle origini della nostra storia, affinché i Figli e le Figlie abbiano sempre più chiara la loro identità e la loro appartenenza per radicarsi sempre più in Gesù Cristo, fonte di ogni bene. La saluto fraternamente nel Divino Amore. Ave Maria!
Madre Maria Lucia Bonaiti
Questa richiesta di Madre Lucia è pienamente condivisa da me e dagli Oblati, Figli della Madonna del Divino Amore. Mi compiaccio dell’iniziativa che, alla luce del Carisma del Fondatore, valorizza il nostro sacerdozio battesimale e ministeriale all’apertura dell’anno eucaristico (ottobre 2004 – ottobre 2005) voluto dal Santo Padre Giovanni Paolo II.
don Fernando Altieri, Presidente
Premessa
Questo impegno, ricevuto dalla Madre Generale ed approvato dal mio vescovo Mons. Giuseppe Zenti, per cui sono certo di essere nella volontà di Dio, mi porta a scavare ancora nelle meditazioni e nei diari del Fondatore. Nel 1996 ho incontrato Mons. Piero Coda, professore di teologia all’università Lateranense, e gli ho parlato di come stavo approfondendo il carisma di don Umberto Terenzi. Mi ha risposto: “Stai facendoti uno con lui, è il modo migliore per entrare nel suo carisma”. Anche in questo lavoro farò così. Sono sempre più convinto che lui era in continua comunione con lo Spirito Santo e questo mi fa lavorare non solo con l’intelligenza, ma soprattutto con la fede, sostenuta dalla preghiera, affinché l’uso delle sue parole, che io sceglierò, corrisponda veramente al senso che lui voleva dare. Ne risulterà un mosaico variopinto, di cui lui è l’autore, mentre io avvicino l’uno all’altro i numerosi tasselli, convinto di fare un umile servizio sollecitato dall’amore allo Spirito Santo, alla Madonna e allo stesso Fondatore.
In questo lavoro mi sono serviti di supporto:
° La Bibbia
° I testi del Concilio Ecumenico Vaticano II, in particolare la “Costituzione sulla
sacra Liturgia” (04.12.1963)
° L’istruzione sul culto del mistero eucaristico (13.04.1967)
° Promulgazione del nuovo Messale romano (03.04.1969)
° “Table ouverte” di A.M. Roguet, Desclée, Paris 1969
° “ La Messa del popolo di Dio” di J.A.Jungmann, Marietti 1970
° Messe della Beata Vergine Maria
° Lettera enciclica “Ecclesia de Eucharistia” di Giovanni Paolo II (17.04.2003)
Abbreviazioni: cfr confrontare
dP diario del Padre
m meditazione
CEV II Concilio Ecumenico Vaticano II
EdE Lettera enciclica “Ecclesia de Eucharistia”
CCC Catechismo della Chiesa cattolica
Attenzione a quanto segue:
Le parole del Fondatore sono scritte in corsivo in tutto il testo.
La lettura progressiva delle riflessioni sulle singole parti della Messa potrebbe indurre chi legge a pensare che non è possibile riviverle tutte durante la stessa celebrazione. E’ bene fare come il Fondatore che fermava la sua attenzione a volte su una e talora su un’altra. Lentamente tutte le parti saranno ritenute senza fatica. Così la partecipazione al Divin Sacrificio diventerà una santa fibrillazione del nostro spirito che ci farà sentire uniti al Cristo fino a perderci in Lui per aiutarlo a salvare il mondo.
Introduzione
Per questo tascabile l’introduzione migliore sono alcune parole del Santo Padre, il Papa Giovanni Paolo II, prese dalla sua enciclica “Ecclesia de Eucharistia” (17.04.2003):
“La Chiesa vive dell’Eucaristia. Questa verità non esprime soltanto un’esperienza quotidiana di fede, racchiude in sintesi il nucleo del mistero della Chiesa. Con gioia essa sperimenta in molteplici forme il continuo avverarsi della promessa: “Ecco, io sono con voi tutti i giorni, fino alla fine del mondo” (Mt 28,20); ma nella sacra Eucaristia, per la conversione del pane e del vino nel corpo e nel sangue del Signore, essa gioisce di questa presenza con un’intensità unica. Da quando, con la Pentecoste, la Chiesa, Popolo della Nuova Alleanza, ha cominciato il suo cammino pellegrinante verso la patria celeste, il Divin Sacramento ha continuato a scandire le sue giornate, riempiendole di fiduciosa speranza.
Giustamente il Concilio Vaticano II ha proclamato che il Sacrificio eucaristico è “fonte e apice di tutta la vita cristiana”. “Infatti, nella Santissima Eucaristia è racchiuso tutto il bene spirituale della Chiesa, cioè lo stesso Cristo, nostra Pasqua e pane vivo che, mediante la sua carne vivificata dallo Spirito Santo e vivificante, dà vita agli uomini”. Perciò lo sguardo della Chiesa è continuamente rivolto al suo Signore, presente nel Sacramento dell’Altare, nel quale essa scopre la piena manifestazione del suo immenso amore”. ( EdE 1)
Il Papa parla anche della Madonna:
Al di là della sua partecipazione al Convito eucaristico, il rapporto di Maria con l’Eucaristia si può indirettamente delineare a partire dal suo atteggiamento interiore. Maria è donna “eucaristica” con l’intera sua vita. La Chiesa, guardando a Maria come suo modello, è chiamata ad imitarla anche nel suo rapporto con questo Mistero santissimo. (EdE 53)
Il Fondatore, 41 anni prima, diceva:
Dobbiamo vivere sempre nella forza della risurrezione delle nostre anime, che dalla morte del peccato o dalla loro tiepidezza spirituale devono assurgere a nuova vita e rinnovellarsi incessantemente nella vita di Cristo, nel sorriso della Madonna, nella gioia della santa Chiesa attraverso la frequenza ai sacramenti, specialmente a quello del Pane e del Vino, segni visibili dell’Amore di Gesù. L'Eucaristia è il simbolo e il pegno della nostra risurrezione quotidiana, il fondamento della nostra virtù perenne e l’assicurazione infallibile della nostra risurrezione finale. (m 21.04.1962)
A me pare che in queste sue ultime parole, scritte in grassetto, siano delineati i tre elementi principali di tutte le sue riflessioni sull’Eucaristia, percepita da lui come:
1° Il simbolo e l’impegno della nostra risurrezione quotidiana. Che Cristo sia risorto non c’è dubbio da parte sua. Ma non è risorto soltanto per se stesso. Come Lui ha “costruito” la sua risurrezione giorno dopo giorno, facendo sempre la volontà del Padre suo fino alla passione e morte sulla croce, così anche noi dobbiamo costruire quotidianamente la nostra facendo tutto, subito, sempre e volentieri.
2° Il fondamento della nostra virtù perenne. Gesù ha detto: “Il pane che io darò è la mia carne per la vita del mondo” (Gv 6,51). Il mondo è fatto anche di noi. Quindi, se vogliamo vivere spiritualmente, dobbiamo nutrirci, altrimenti diventiamo anemici, poveri di energie. L’Eucaristia, soprattutto la Comunione nella Messa, è la sorgente della nostra forza quotidiana per esercitare tutte le virtù.
3° L’assicurazione infallibile della nostra risurrezione finale. S. Paolo dice: “Se non esiste risurrezione dai morti, neanche Cristo è risuscitato. (…) Ora invece Cristo è risuscitato dai morti, (…) e come tutti muoiono in Adamo, così tutti riceveranno la vita in Cristo” (1 Cor 15, 20 - 22). Quindi risorgeremo anche noi.
Questo triplice aspetto stimola tutta la riflessione su “L’Eucaristia, la Madonna e don Umberto”. Esso approfondisce, anche liturgicamente, il Santissimo Sacramento incominciando dai seguenti argomenti:
· Il sacerdozio di Gesù e il nostro: battesimale e ministeriale
· Il Divino Amore, artefice dell’Eucaristia
· La Madonna, primo tabernacolo di Gesù
Il sacerdozio si realizza soprattutto nel Divin Sacrificio. La Messa, e quindi l’Eucaristia, occuperà una grande parte di questo tascabile per la semplice ragione che il Fondatore non solo ne faceva il momento più importante e insostituibile della sua giornata, ma anche perché si serviva quasi ogni giorno di qualcuna delle sue parti: l’antifona, l’orazione, il salmo responsoriale, le letture bibliche, … per meditarci personalmente e far meditare i presenti. Ne risultava una catechesi illuminata, colorita, ma soprattutto pratica e quindi pedagogica. Ad esempio, il lavoro merita il suo salario. La nostra partecipazione alla Messa, che per il Padre è un “lavoro”, è pagata dallo stesso Gesù con il suo Sacrificio.
Per lui la Messa è il più grande, importante, insostituibile appuntamento con Gesù e con Maria. Lo esprime con la parola “lavoro” (che risulterà in tutta la sua importanza e nei suoi vari aspetti quando si parlerà dell’offertorio): ho lavorato finora, per dir così, con le anime vostre e la mia, adesso lavorerò con la celebrazione della Messa. Anche voi lavorerete partecipando alla Messa, specialmente con la Santa Comunione. La Messa paga per noi! E poi lavorerò con le lettere, la contabilità, con le disposizioni da lasciare. La giornata d'oggi (ma anche tutte le altre) è giornata di lavoro, santo e santificatore. (m 24.08.1953)
Questa parola “lavoro” può sorprenderci, in realtà esprime la continuità del suo stare con Gesù. La sua vita è tutta lavoro in Lui e nella Madonna. Lavoro significa anche impegno. Nel caso della Messa viene fatto con la più grande attenzione a tutte le parole che lo esprimono, perché don Umberto, celebrando, trova in esse il mezzo di fare comunione con Gesù e Maria, con ogni persona presente o assente e con tutte le creature dell’universo.
Ecco perché voleva che soprattutto i Piccoli Figli (e non solo loro) e tutte le Figlie preparassero nel messalino, la sera del giorno prima, i segni secondo le rubriche per la celebrazione della Messa del giorno dopo e ne leggessero subito le letture (m 08.01.1962).
Per questo a volte chiedeva loro: avete il messalino? Chi non ce l'ha, alzi la mano. Beh, pochi, pochi! Speriamo che la befana ve lo porti! (m 02.01.1962). Dall’altare avete sentito leggere l’epistola e il vangelo. Può darsi che qualche parola vi sia sfuggita, lo dico specialmente a voi, Piccoli Figli. Ora tutti avete il messalino, la befana l’ ha provveduto a quelli che non l’avevano. Ma vedo che qualcuno non ce l’ha con sé! Pensate a dove l’avete lasciato, perché nel messalino potrete vedere bene le parole che vi sono sfuggite (m 07.01.1962). Quindi tutti debbono seguire la Messa col messalino, leggerlo attentamente e meditarlo bene (m 19.10.1962).
Ed insiste, soffermandosi su poche parole, le tre virtù soprannaturali, alle quali dà una giusta importanza:
Guardate quant'è bello questo oremus (XIII domenica dopo Pentecoste prima della riforma liturgica), forse l'avete seguito nel messalino mentre lo pronunciavo, ma se non l'avete seguito bene, come intendo io, rileggiamolo insieme: c'è dentro tutto il frutto degli esercizi spirituali. In esso si dice: Dio onnipotente ed eterno, aumenta in noi - attenzione ad ogni parola - la fede, la speranza e la carità. (m 09.09.1962)
Tutto questo per dire come don Umberto sentiva la Messa che preparava bene prima, per poi seguirla meglio in tutto il suo svolgimento, facendo attenzione a tutte le espressioni che ne formano il tessuto. Era talmente convinto della sacralità dell’atto che, prima di iniziarlo, controllava avanti allo specchio se le sue scarpe erano pulite, i capelli in ordine e le veste sacerdotali bene indossate. (Suor M.Germana Repetti, 17.09.2004)
Per lui essa è il modo di far nascere continuamente Gesù, di farlo restare in mezzo a noi (m 25.12.1969) e ricordarci che questa sua nascita lo porterà dalla grotta di Betlemme sulla croce del Calvario, dove spargerà tutto il suo sangue per gli uomini. (cfr m 16.12.1967)
Lo dice bene il Concilio Ecumenico Vaticano II: “Nella Santissima Eucaristia è racchiuso tutto il bene spirituale della Chiesa, cioè lo stesso Cristo, nostra Pasqua e pane vivo che, mediante la sua carne vivificata dallo Spirito Santo e vivificante, dà vita agli uomini, i quali sono in tal modo invitati ed indotti ad offrire assieme a Lui se stessi, il proprio lavoro e tutte le cose create”. (CEV II 2878)
Don Umberto vede questa offerta di se stessi come una identificazione allo spirito di Dio nel Cuore di suo Figlio, cioè nell’Eucaristia (m 01.09.1967). La palpitazione di questo Cuore è presente non solo nella Messa ma anche nelle particole consacrate racchiuse nel tabernacolo, in cui il silenzio di Gesù diventa comunione con il Padre nello Spirito Santo e nel contempo attesa della nostra visita che permette a Lui di fare comunione con ciascuno di noi.
Il Fondatore ha 17 anni, davanti al tabernacolo formula questa preghiera:
“In questo mondo io sto in mezzo, Gesù col suo paradiso di sopra, il demonio col suo inferno di sotto, simultaneamente e incessantemente mi chiamano: dove mi rifugerò?” (Parole di S. Francesco d’Assisi). Non senza una speciale previdenza, o mio caro Gesù, tu hai disposto che questi due pensieri maggiormente colpissero l’anima mia in questi giorni. Poiché da essi mi sento spronato in modo irreversibile a servirti e servirti santamente. I piaceri, gli onori, le ricchezze, i diletti mondani... no, non sono fatti per me! Servire al demonio? No, neppure questo desidera l’anima mia! Solo te, incessantemente te, in tutto te! Ecco ciò che vuole l’anima mia.
Ma, o Signore che mi sei qui presente, chiuso dentro quel tabernacolo, dimmi se mi salverò. Potrò io conservarmi sempre in questi sentimenti, che ora tu ispiri al cuore mio, in questa ferma volontà di servirti? Certo, mio caro Gesù, le mie colpe passate mi fanno temere molto, ma per questo dovrò io perdermi di coraggio? No Gesù! Sì, ho peccato e mi sono reso quindi indegno della tua misericordia, ma pure ho ferma fiducia nella tua adorabilissima passione. Scenda anche sopra di me una goccia di quel sangue che in tanta copia venisti a spargere per noi poveri peccatori. Perdono dunque, o mio Gesù, di tante offese e dà luogo alla tua ampia misericordia. (…)
O Gesù, quando verrai a prendermi? Vieni presto! Intanto fortificami dandomi le tue Carni immacolate. Sono tre giorni che ne sono privo; ma alfine domani mattina potrò stringerti di nuovo al mio petto e dirti tutte le angustie del mio povero cuore, tutti i suoi desideri. Vieni, Gesù, vieni presto, non posso più stare senza di te! (dP Esercizi spirituali, 31 marzo - 4 aprile 1917, predicati da padre Stanislao, passionista)
Il sacerdozio di Gesù e il nostro: battesimale e ministeriale
Sappiamo che la parola “sacerdote” significa mediatore tra Dio e gli uomini specialmente nella celebrazione sacrificale. Sappiamo pure quanto erano in uso i sacrifici di animali presso gli Ebrei. Essi avevano soprattutto uno scopo propiziatorio. Detto questo, ecco alcune citazioni importanti sull’argomento “sacerdozio”.
S. Paolo dice: “Gesù non ha bisogno ogni giorno, come gli altri sommi sacerdoti, di offrire sacrifici prima per i propri peccati e poi per quelli del popolo, poiché Egli ha fatto questo una volta per tutte, offrendo se stesso” nella morte sulla croce per cancellare tutte le nostre colpe. Quindi “è entrato nel cielo per comparire al cospetto di Dio in nostro favore” (Eb 7,25-27).
Il Papa Giovanni Paolo II scrive: “L’Eucaristia porta indelebilmente inscritto l’evento della passione e della morte del Signore. Non ne è solo l’evocazione, ma la “ri-presentazione” sacramentale (cfr EdE 11). E’ il Sacrificio della Croce che si perpetua nei secoli.
Grazie a queste parole di Gesù: “Fate questo in ricordo di me” (Lc 22,19), nasce il sacerdozio ministeriale per i suoi apostoli. Essi lo trasmettono ai vescovi loro successori, i quali lo compartecipano per alcuni servizi ai sacerdoti da loro ordinati.
Che cosa dice il Padre su questo argomento? Molte cose, per le quali c’è l’imbarazzo della scelta.
Innanzitutto lui è colmo di stupore per il dono della vocazione: O Dio, che hai chiamato me, tuo servo, senza alcun mio merito, a compiere i tuoi misteri celesti, rendimi un degno ministro del santo altare ed anche per ciò che le mie labbra, con la tua azione santificatrice, possono pronunciare (si riferisce alle parole della consacrazione) (m 30.10.1966).
Vede la sua vocazione sacerdotale realizzata soprattutto nella celebrazione della Messa: C’è forse, da parte della Madonna, un regalo più bello di quello del sacerdozio? E’ il dono più grande che poteva fare a me e a voi. Il sacerdote è come un altro Gesù: opera per la Chiesa, per la salvezza delle anime e per il trionfo del suo amore nel mondo. Qualunque dono di Dio: salute, longevità, ricchezza, posizione sociale, massima autorità della terra è niente nei confronti del suo potere divino di rendere presente Gesù in quel po’ di pane, che è un'ostia, e in quel po’ di vino, che si mette nel calice, ripetendo le sue parole: "Questo è il mio corpo" e “Questo è il mio sangue". (cfr m 26.03.1955)
Ed insiste: Il sacerdote è ordinato essenzialmente, non dico esclusivamente, per la Messa, quindi tutte le altre attività sono collaterali (m 31.03.1966). Essa deve essere celebrata ogni giorno (non tanto per l’offerta!), per permettere al Cristo di salvare tutti. Il
presbitero, come Gesù sul monte Calvario, sta con le braccia spalancate, ad attirare la grazia di Dio sul mondo... Un giorno padre Pio mi disse: “Guai se venissero a mancare i sacerdoti per celebrare la Messa! Il mondo, qualora non fosse sostenuto dalla sua grazia, cadrebbe in rovina!” (m 25.04.1954 e 04.07.1968). La sua gioia è di sentirsi protetto dalla Madonna: Tra le gioie del mio Sacerdozio, credetelo, c'è quella di aver superato tante cose con il braccio potente della Madonna, con l'ispirazione e la forza del Divino Amore e di vedere che le cose vanno avanti (m 30.03.1970).
L’aver riportato soltanto alcune sue riflessioni sul ministero sacerdotale potrebbe sembrare che non valorizzasse debitamente quello battesimale dei laici. Non è così! Il Fondatore diceva alle Figlie che l’esercizio del loro sacerdozio era ed è l'apostolato: andate, insegnate a tutte le genti. Poi anche: battezzate nel nome del Padre, ecc... ma prima di tutto insegnate! Siate le testimoni, le divulgatrici del Divino Amore (m 30.06.1956).
Molti anni dopo il Catechismo della Chiesa Cattolica dirà: “I Laici, come tutti i fedeli, in virtù del Battesimo e della Confermazione, ricevono da Dio l’incarico dell’apostolato; pertanto hanno l’obbligo e godono del diritto, individualmente o riuniti in associazioni, di impegnarsi affinché il messaggio divino della salvezza sia conosciuto ed accolto da tutti gli uomini e su tutta la terra. (CCC 900)
Parla il nostro Dio
Voi siete la luce del mondo; non può restare nascosta una città collocata sopra un monte. (…) Così risplenda la vostra luce davanti agli uomini perché vedano le vostre opere buone e rendano gloria al vostro Padre che è nei cieli. (Mt 5, 14-16)
L’Eucaristia, dono del Divino Amore
Sì, è così! Non è forse il Divino Amore ad essere invocato nella Messa perché trasformi il pane ed il vino nel Corpo e nel Sangue di Gesù risorto? Nella preghiera eucaristica n.2, prima della consacrazione, vengono pronunciate dal celebrante queste parole: “Padre veramente santo, fonte di ogni santità, santifica questi doni con l’effusione del tuo Spirito, perché diventino il corpo e il sangue di Gesù Cristo nostro Signore”. Forse non sono sempre avvertite nel loro profondo significato. Eppure se l’effusione dello Spirito non avvenisse, quel pane e quel vino non cambierebbero sostanza per diventare Gesù risorto (cfr m 25.04.1954). Sono parole essenziali da meditare a fondo per capire ancora meglio la missione particolare dello Spirito Santo che è quella di “generare” in ogni Messa il Cristo perché diventi quel “Pane che ci darà la vita eterna” (Gv 6,33).
Dunque il Divino Amore produce il Risorto in ogni celebrazione eucaristica. Il Fondatore dice con S. Paolo: Come facciamo noi a conoscere la larghezza, l’altezza, la profondità di questo Amore? Dovremmo capire Dio, ma Dio non lo capisce nessuno al di fuori di se stesso. Fra tutte le creature, nemmeno la Madonna può comprenderlo completamente. Questa grandiosa intimità del suo Amore si espande da Lui e ci spinge a riprodurla nella nostra vita (cfr m 09.02.1959).
“Riprodurla nella nostra vita”. Questo è possibile se, attraverso la Comunione con il Risorto, ci riempiamo dello Spirito Santo che è il protagonista della santificazione. La creazione, la redenzione, i sacramenti stessi, che sono la parte essenziale della Chiesa, provengono da Lui e tendono al suo trionfo. Tutto è soltanto un mezzo per arrivare a questo (cfr m 06.07.1959).
Certo, fra tutte le opere di Dio, la Messa è la più grande in quanto ci permette di rivivere la vita, la passione, la morte e la risurrezione di Gesù che, spezzando il pane, ha detto: “Prendetelo e distribuitelo tra voi” (Lc 22,17). Per questo l’Eucaristia è un cibo che crea condivisione. Noi la realizzeremo solo se sapremo occupare il nostro posto ai piedi della croce, amando Dio e il prossimo fino ad essere pronti a morire per loro.
Il “cenare” insieme, il fare comunione con i fratelli, il testimoniare la gioia di amarci anche e soprattutto vicino a chi non l’ha ancora sperimentata, è il vero frutto dell’Eucaristia partecipata. Esso ci renderà collaboratori di salvezza per mezzo della Madonna, la madre che ci è stata data per aiutarci a realizzare questa nostra missione essenziale. Noi ricorderemo sempre, senza stancarci mai, che la carta vincente per entrare in Paradiso è l’aver amato ogni nostro prossimo sempre, per primi, costi quello che costi (cfr Mt 25, 31-46 e m 05.06.1956).
Come i chicchi della spiga di frumento perdono la loro “personalità” quando sono macinati e gli acini del grappolo d’uva quando sono spremuti per diventare un unico pane ed un unico vino, così noi, per farci uno, dobbiamo calpestare il nostro amor proprio, la nostra indipendenza (m 05.02.1969). Ciascuno ha la sua personalità, bisogna rinnegarla, e
questo è il peso più grande, imposto dalla vita comune (m 22.03.1968). Seguiamo il Cristo che “umiliò se stesso facendosi obbediente fino alla morte di croce” (Fil 2,8). In questo
compito, tutt’altro che facile, facciamoci aiutare da Maria. Essendo la Sposa dello Spirito Santo, e quindi in grande intimità con Lui, partecipiamo alla Messa in sua compagnia, sempre. Capiremo meglio l’infusione dello Spirito in quel Pane e in quel Vino, dei quali ci nutriremo al momento della Comunione per sentirci vivere intensamente nel Cristo che dice: “Chi mangia la mia carne e beve il mio sangue dimora in me ed io in lui” (Gv 6,56).
Questa presenza di Gesù in noi ci farà compiere tutte le sue volontà, comunque esse si manifestino. Nella Comunione ci sentiremo uniti anche ai nostri fratelli, perché è lo stesso Gesù che viene in noi e va in loro. E ci unisce sempre di più nel vincolo della carità conservando nel nostro cuore lo Spirito buono, mandato da Lui, come suggeritore di quanto dovremo fare nelle diverse occasioni della vita (cfr m 01.10.1959 e 08.06.1956).
Dopo la Messa la Madonna non ci lascerà soli , ma ci farà da guida lungo i sentieri, non senza ostacoli, della vita come una mamma sostiene il suo bambino con le dande affinché non cada ed impari a camminare. Avanti sempre e… coraggio! Quel coraggio che il profeta Elia, impaurito, stanco e desideroso di morire, trovò nella focaccia e nell’acqua, portate dall’angelo del Signore, che lo svegliò due volte invitandolo a mangiare e a bere per continuare il suo viaggio.
Parla il nostro Dio
Su mangia, perché è troppo lungo per te il cammino”. Elia si alzò, mangiò e bevve. Con la forza (il Divino Amore), datagli da quel cibo, camminò per quaranta giorni e quaranta notti fino al monte di Dio, l’Oreb. (1 Re 19,7-8)
La Madonna è il primo tabernacolo di Gesù
L’espressione potrebbe sembrare per lo meno inusuale, ma non per il Padre che se ne serve spesso. Leggiamolo: La chiamata della Madonna al Tempio non fa che preludere a quella della divina maternità: tu sarai in virtù dell'Altissimo la Madre del Figlio di Dio. Quando noi pensiamo che è stata il suo primo Tabernacolo ed ha conservato questo tesoro divino nei lunghi mesi della sua gravidanza, pensiamo anche al Tabernacolo santo dove noi teniamo Gesù, frutto dello Spirito Santo (m 21.11.1957).
Egli è veramente un tesoro divino che, pur essendo “prima di tutte le cose e tutte sussistono in lui” (Col 17), ha accolto umilmente e volentieri di diventare nel ventre di Maria un piccolo embrione nascosto, dipendente dalle leggi naturali di una gravidanza umana. E’ meglio soffermarci un po’ per gustare quanto dice don Umberto:
La nascita di Gesù è un fiore che sboccia dalla radice di Iesse (Mt 1,5-6). Viene da un atteggiamento di fede della Madonna, realizzato con un gesto di sublime obbedienza. Ella lo ha nutrito nel suo seno purissimo con un atto continuo di amore. Per capire meglio pensiamo a quella specie di freddezza che c’è in noi quando lo riceviamo nella Comunione. Eppure, per quanto freddi siamo, essendo consacrati a Lui e alle sue opere, lo teniamo nel nostro povero corpo e cerchiamo di scaldarlo col nostro amore, stringendolo al petto per alcuni minuti. Che avrà fatto la Madonna, piena di Divino Amore, per nove mesi consecutivi? Non ci avete mai pensato? Una comunione continua con Lui! (m 21.12.1957)
Gesù nascerà, crescerà come tutti, in un piccolo e sconosciuto villaggio chiamato Nazaret, dal quale nulla può venire di buono (Gv 2,46). A circa trent’anni smetterà di fare il carpentiere e comincerà ad annunciare la Buona Novella prima in Galilea e poi in Giudea. Ma quello che dice e fa non piace ai responsabili della religione ebraica, che finiranno per considerarlo pericoloso e lo elimineranno ottenendo da Ponzio Pilato di farlo morire sulla croce. Tre giorni dopo la morte risorgerà, ed ora siede alla destra del Padre.
Ma quella lunga vita di nascondimento a Nazaret gli era piaciuta tantissimo al punto che decise, durante l’ultima Cena con i suoi amici, di continuarla dopo la sua morte, come risorto, nel pane e nel vino consacrati. In qualsiasi tabernacolo del mondo essi siano stati riposti, lì c’è Gesù.
Il suo Corpo e il suo Sangue non sono più quelli dell’uomo agonizzante sulla croce, deperibili, ma quelli vivificati per sempre dallo Spirito Santo al momento della Risurrezione. Essi erano stati “costruiti” sulla terra in modo divino da Maria sua Madre. La quale rimane tale anche in Cielo, nell’Eucaristia e dovunque si trovi. Ha ragione don Umberto quando dice: Gesù Eucaristia è il centro della nostra attrazione insieme alla Madonna, noi non possiamo concepire Gesù senza di lei (m 18.06.1968).
Maria è la “Janua coeli”, la porta del Cielo, e il nostro Cielo in terra è Gesù Eucaristia. Il Fondatore dice: Io posso entrare nel cuore di Gesù, ma attraverso il cuore di Maria. Per cui, prima di chiamarla porta del Cielo, voglio chiamarla porta del cuore del Figlio di Dio.
(m 01.08.1965). Anche perché: quando Lui rinnova la sua presenza reale nell’Eucaristia ha sempre il sangue di Maria, che trasfonde nella mia anima al momento della santa
Comunione (cfr m 07.07.1961). Il Papa Giovanni Paolo II lo conferma in modo magistrale nell’enciclica “Ecclesia de Eucharistia”:
“Fate questo in memoria di me” (Lc 22,19). Nel “memoriale” del Calvario è presente tutto ciò che Cristo ha compiuto nella sua passione e nella sua morte. Pertanto non manca ciò che Cristo ha compiuto anche verso la Madre a nostro favore. A lei infatti consegna il discepolo prediletto e, in lui, consegna ciascuno di noi: “Ecco tua madre!” (cfr Gv 19, 26-27). Quindi “Maria è presente, con la Chiesa e come Madre della Chiesa, in ciascuna delle nostre celebrazioni eucaristiche. Se Chiesa ed Eucaristia sono un binomio inscindibile, altrettanto occorre dire del binomio Maria ed Eucaristia. Anche per questo il ricordo di Maria nella celebrazione eucaristica è unanime, sin dall’antichità, nelle Chiese dell’Oriente e dell’Occidente.” (EdE 57)
Mi pare bello concludere questa riflessione con alcune parole del Fondatore: L’Eucaristia è un dono di “amore” del Cuore di Gesù, ma è anche un dono di “natura” della nostra Madre Maria Santissima. A lei vada la nostra glorificazione e il nostro rallegramento. (m 01.06.1961)
Parla il nostro Dio
Lo Spirito Santo scenderà su di te, su te stenderà la sua ombra la potenza dell’Altissimo. Colui che nascerà sarà dunque santo e chiamato Figlio di Dio (Lc 1,35).
Il Verbo si fece carne e venne ad abitare in mezzo a noi (Gv 1,14)
Entriamo nella Messa
La sua celebrazione può essere vista sinteticamente in due parti: la Parola e il Pane.
· La Messa, come “Parola”, comprende:
° L’antifona d’ingresso
° Il segno della croce
° Il Signore sia con voi
° Confesso a Dio Onnipotente
° Gloria a Dio nell’alto dei cieli
° L’orazione o colletta
° La Parola di Dio
° Il salmo responsoriale
° L’omelia
° Il Credo e le intenzioni di preghiera
· La Messa, come “Pane”, comprende:
° Il pane
° Il vino
° Il prefazio
° Il canone e la consacrazione
° La preghiera del “Padre nostro” e il perdono
° La pace dell’Agnello, divenuto nostro Cibo
° La Comunione, per fare comunione
° La conclusione della Messa.
Seguirà, sotto il titolo “Non lasciamo solo Gesù!” una breve riflessione sull’ora di adorazione, la visita al Santissimo Sacramento e il viatico.
Prima di passare oltre leggiamo, a costo di ripeterci, queste parole del Fondatore:
L'Eucaristia si spiega con la Madonna. Come Figli e Figlie, dichiariamo che ella è sempre unita all'Eucaristia, poiché Dio l’ha realmente creata in rapporto a Cristo. E non c'è momento della sua vita che possa separarla da quella di suo Figlio. (cfr m 03.10.1968)
L’antifona d’ingresso
Il sacerdote comincia la celebrazione della Messa baciando l’altare che, mentre ricorda la roccia dalla quale è sgorgata l’acqua per dissetare gli Ebrei nel deserto (Es 17,6), simboleggia Gesù, la pietra angolare diventata il fondamento della sua Chiesa (Ef 2,20).
Dopo il bacio viene recitata o cantata l’antifona d’ingresso. Essa corrisponde quasi sempre a un versetto biblico. E’ una piccola cosa, a volte trascurata dal celebrante, ma non dal Fondatore. Leggiamolo, e ci renderemo conto di quanto la gustava e come se ne serviva per dare spunti di meditazione. Il versetto scelto è:
Rallegrati, Gerusalemme, e voi tutti che l’amate, riunitevi. Esultate e gioite, voi che eravate nella tristezza: saziatevi dell’abbondanza della vostra consolazione.
Questo introito della 4^ domenica di quaresima, la cosiddetta “Laetare” (=rallegrati), fa proprio al caso nostro. La pianeta è rosacea (colore rosa), come segno annunciatore della Pasqua. Sembra di sentirne l’odore! Rallegrati Gerusalemme! Questa Città Santa rappresenta tutte le anime che ascoltano la parola di Dio e la vivono. Rallegratevi dunque voi tutti che amate la Chiesa, la vostra vocazione e le vostre opere che sono di Dio.
Il Padre, sempre gioioso e innamorato dei suoi Figli e Figlie soprattutto lontane, esclama: Riunitevi perché oggi, primo aprile e 50° anniversario della mia prima Messa, c’è tutto il motivo della nostra gioia, che aumenta il senso di quella pasquale e lo moltiplica nel vedere le nostre opere di adesso e di domani, che faremo con l’aiuto di Dio. Ci siamo riuniti per questo. Ed anche chi non è potuto venire personalmente è con noi in spirito. Pensiamo in questo momento alle nostre case più lontane della Colombia, alle quali spero di poter mandare un saluto per telefono in giornata, augurandomi che arrivi come espressione della nostra unità nell’unica gioia.
Il Voto di gioia, ricordatelo, vivetelo, vivetelo! E non ci sia mai un momento in cui vi pentite di essere le Figlie della Madonna. Non pentirsi è già un aspetto di questa gioia. Godete di questa situazione e pensate soltanto ad andare avanti nel nome della Madonna, nella virtù e nella fortezza della mia e vostra vocazione. (m 01.04.1973)
Un altro esempio di come don Umberto si serviva dell’antifona:
E’ il 29 agosto, giorno della memoria del martirio di S. Giovanni Battista. Ecco l’antifona:
Signore, ho parlato dei tuoi insegnamenti davanti ai re, senza arrossire: mia gioia sono stati i tuoi precetti, e io li ho intensamente amati.
La vita religiosa è fatta di un insieme di precetti, alle volte anche minuziosi, spesso seccanti per la nostra natura umana. E’ necessario farli propri attuandoli non con violenza ma con amabilità. Se facciamo così, essi non saranno un peso perché, come dice il versetto, “li ho intensamente amati”. Sono parole del salmo 118, non sono state inventate da chi ha scritto il messale, ma da Dio, e quindi bisogna perseverare con gioia nella loro osservanza. Mi risulta che nella vostra condotta c’è buona volontà, ma forse manca l’impegno. Ecco la parola: impegnarsi! Impegnarsi!
Don Orione mi disse (1932): il santuario nuovo, le nuove opere dovranno essere fatte dalle Figlie della Madonna, che nemmeno esistevano allora! La prima volta che me ne parlò fu “quella” sera di 41 anni fa! Ci siamo impegnati!. Ora mi sembra di sognare! Il nostro è stato un grande impegno! L’ho preso con tanta disinvoltura che sembrava temerarietà, invece era fede in Dio! E la vostra deve essere eguale alla mia, perché io sono alla fine della mia vita mentre voi ne siete al principio. La Congregazione è nascente, viva, giovane. Io ho promesso che ci saremmo impegnati, nessuno si deve tirare indietro. Siete disposte a rinunziare ai vostri gusti, alle vostre inclinazioni, ai vostri disegni, ai vostri desideri per fare unicamente la volontà di Dio? Se sì, ecco l’impegno! Poi consacriamoci alla Madonna nel possesso e nella diffusione del suo amore nel mondo. (cfr m 29.08.1973)
Parla il nostro Dio
Manda la tua verità e la tua luce; siano esse a guidarmi, mi portino al tuo monte santo e alle tue dimore. Verrò all’altare di Dio, al Dio della mia gioia, del mio giubilo. (Sal 43, 3-4)
Il segno della croce
E’ opportuno dire subito che nella presentazione della Messa non mi soffermo in ogni particolare, come “Rendiamo grazie a Dio” o “Lode a te, o Cristo”, ecc. Il mio lavoro non sarà un piccolo trattato sulla celebrazione eucaristica, ma solo un insieme di riflessioni su come il Padre sentiva l’Eucaristia e celebrava il Sacrificio della Nuova Alleanza.
L’inizio della Messa avviene sempre con il segno della croce: “Nel nome del Padre e del Figlio e dello Spirito Santo”. Notiamo subito che la congiunzione “e”, ripetuta due volte, è importante perché esprime l’unità delle tre Persone, le quali coprono il primo ruolo durante tutta la celebrazione, in particolare nel Gloria, nella conclusione dell’Orazione, nel Credo, nel Prefazio, nella Consacrazione, alla conclusione del Canone “Per Cristo, con Cristo e in Cristo, a te, Dio Padre onnipotente, nell’unità dello Spirito Santo”, nella preghiera del sacerdote prima della Comunione, nella Benedizione finale. Il segno ci introduce subito nell’intimità con Dio. La Messa diventa trinitaria, perché è offerta alla gloria del Padre, attraverso la mediazione sacerdotale di Gesù Cristo, nello Spirito Santo. Questa realtà divina, mentre assicura la “ri-presentazione” (cfr EdE 11) della vita, passione, morte e risurrezione di Gesù, attende, come già detto, la nostra partecipazione al suo Sacrificio, anche se a volte fatichiamo a trovare il nostro posto ai piedi della croce accanto alla Madonna Addolorata che ci ripete “Aiutatemi ad asciugare il sangue a Gesù!” E proverete la vera gioia nel vostro cuore” (m 14.05.1957) . Ella, in modo unico e irrepetibile, è compartecipe della tragedia di suo Figlio. Quindi nel “segno di croce” lei è sempre presente, accanto alla Trinità (cfr m 18.06.1968).
Inserito all’inizio della Messa, esso è un atto di riconoscimento della grandezza di Dio e della nostra pochezza (m 01.06.1969). Se ne siamo convinti, questa pochezza diventa l’umiltà che fa il vuoto dentro di noi e permette a Dio di possederci in quanto abbiamo iniziato nel suo “nome”. Invocandolo, la famiglia trinitaria viene ad abitarci e noi siamo avvolti dal Cielo, soprattutto dopo la consacrazione che garantisce la presenza di Gesù risorto in noi. Ci sentiremo molto “giovani”. Il Fondatore lo dice alludendo anche al paradiso:
Anche se diventassi vecchio cadente e facessi fatica a salire l’altare, l’anima mia più sta nei meriti di Cristo e nella grazia dello Spirito Santo, più vive e si ringiovanisce, di quella giovinezza che prelude alla perfezione della vita eterna. Lo sguardo, che noi diamo a Dio uno e trino attraverso il suo nome, è ancora limitato. E’ come se uno contemplasse il mare con gli occhiali affumicati e non ne percepisse le bellezze. Ma quando si aprirà la porta del Cielo, allora lo sguardo sarà perfetto e noi vedremo Dio faccia a faccia, ci sentiremo come degli esseri sospesi che penetrano nella sua grandiosità, nella infinità dei meriti di Cristo. Non ci annoieremo mai, perché lo comprenderemo sempre meglio e staremo nella gioia del suo amore senza fine. (cfr m 01.06.1969)
Ma com’è possibile che don Umberto veda tutte queste cose in un semplice segno di croce? Lui stesso dice: Non so dove vado a finire con i miei poveri pensieri, che sono molto limitati, ma se potessi rimanere sempre nella dolce contemplazione della Trinità, almeno quanto la mia anima lo desidera, ne potrei aggiungere tanti altri, purtroppo abbiamo dei doveri da compiere in queste giornate di pellegrinaggi. Allora prendiamo qualche parola dalla liturgia per imprimerla dentro di noi e per trasmettere sempre di più il senso di Dio alla nostra povera vita (cfr m 01.06.1969).
“Nel nome del Padre e del Figlio e delle Spirito Santo” è un atto di fiducia, di confidenza, di abbandono. (m 01.06.1969)
Esso non è fatto soltanto di parole, ma anche del gesto che traccia la croce sul nostro corpo. E’ il segno che ci prepara ad iniziare la nostra partecipazione al Sacrificio di Cristo. La quale offre al Fondatore l’occasione di offrirci una considerazione veramente originale, dove si intrecciano croce e tabernacolo: Il cristiano si riconosce dal segno della croce. Quando stiamo in croce con lui, per noi la croce diventa una gloria. La Divina Provvidenza, nella sua ineffabile fortezza e dolcezza per la salvezza delle anime e la santificazione delle nostre opere, toglie dalla croce Gesù e lo depone nel Tabernacolo per metterci noi al suo posto. Dobbiamo arrivare a vantarci di questo e, quando non ce la facciamo da soli, stiamoci con Lui, per sostenere le sue opere per la salvezza del mondo (cfr m 03.05.1958).
Parla il nostro Dio
La parola della croce è stoltezza per quelli che vanno in perdizione, ma non per quelli che si salvano. Per noi è potenza di Dio. (1 Cor 1,8)
Il Signore sia con voi!
Il sacerdote, pronunciando queste parole, già presenti nella liturgia fin dai primi tempi, riconosce subito che ha davanti a sé un popolo santo riunitosi nel nome di Cristo. Questo popolo gli risponde “E con il tuo spirito”. Ne risulta che la presenza di Dio è desiderata da ambedue. Il Padre dice:
E’ una preghiera, un augurio, una constatazione vicendevole. Se è vero (si rivolge ai seminaristi) quello che mi avete risposto, ciò significa che avete Dio con voi e lo volete anche con me. E’ un pensiero di fede nella sua presenza in noi, in ciascuna delle nostre azioni, delle nostre iniziative, delle nostre opere. Una presenza individuale e quindi per me, per te, per ognuno di noi (m 18.10.1962), ma anche comunitaria, perché è vicendevole.
Il Padre si sofferma in modo particolare sulla prima parte dell’augurio “Il Signore sia con voi!” e fa una riflessione collegando queste parole alla sua vocazione e a quella dei Figli e delle Figlie:
Io dico più volte durante la Messa: “Il Signore sia con voi”. E’ certo che se lo dono a voi, devo averlo pure io, altrimenti non potrei darvelo. Nella nostra vocazione è importante dare, ma con gioia (2Cor 9,7), espressa anche dal sorriso. Questo comportamento mette le ali alle opere del Divino Amore e a chiunque le deve fare (cfr m 16.12.1957).
Se è così, sarebbe bello che il sacerdote, dicendo “Il Signore sia con voi”, lo facesse con un bel sorriso, userebbe il modo migliore per accogliere i fratelli.
Per dare un ulteriore valore all’unità, espressa dal saluto augurale, ci vengono ancora in aiuto le sue parole, rivolte ai Piccoli Figli, nelle quali il “con voi” esprime una condivisione profonda:
Se noi, sacerdoti, siamo tribolati è per la vostra consolazione e salvezza. Se siamo consolati, è per la vostra consolazione. Se siamo incoraggiati è per esortare voi a sopportare con pazienza i medesimi patimenti che noi soffriamo. Così la speranza che abbiamo su di voi è sicura perché sappiamo che, come siete compagni nelle sofferenze, lo sarete anche nella consolazione, per il nostro Signore Gesù Cristo. Questo è il senso del voto di gioia alla Madonna! Noi vorremmo che tutti capissero che la nostra gioia più grande è darci a Dio nel suo amore infinito, costi quello che costi! Sulla croce meglio che sul Tabor, nella povertà di Betlemme meglio che sulla cattedra di S. Pietro, nella nostra fortezza meglio che nella nostra consolazione. (cfr m 16.12.1957)
Ritorniamo all’unità! Nell’augurio “Il Signore sia con voi”, “E con il tuo spirito”, essa si attua tra il sacerdote e i fedeli se tutti si sentono riuniti nel suo nome, ossia nel suo amore (Mt 18,20). Qui entra in gioco la loro fede nella carità fraterna! Il Padre lo dice molto bene:
La Messa è la più bella adorazione del Santissimo Sacramento, perché è la realizzazione dell'Eucaristia che continua. La nostra vita di santità deve essere nell’unità, non dico nell’unione, come fossero due cose che si mettono insieme, ma nell’unità, nella identificazione allo spirito di Dio nel Cuore di Gesù, cioè nell’Eucaristia. (m 01.09.1967)
A conclusione di questa riflessione serviamoci della parola di Papa Giovanni Paolo II, che ci aiuta ad approfondire ulteriormente il valore dell’unità la quale, connaturata all’Eucaristia, riceve il suo massimo nutrimento nella Comunione:
“Il dono di Cristo e del suo Spirito, che riceviamo nella Comunione eucaristica, compie con sovrabbondante pienezza gli aneliti di unità fraterna che albergano nel cuore umano, e insieme innalza l’esperienza di fraternità insita nella comune partecipazione alla stessa mensa eucaristica a livelli che si pongono ben al di sopra di quello della semplice esperienza conviviale umana. Mediante la Comunione al Corpo di Cristo la Chiesa raggiunge sempre più profondamente quel suo essere “in Cristo come sacramento, cioè segno e strumento dell’intima unione con Dio e dell’unità di tutto il genere umano”. (EdE 24)
Parla il nostro Dio (Sion e Gerusalemme si possono sostituire con la parola “Eucaristia”, presente nel tabernacolo)
Guarda Sion, la città delle nostre feste! I tuoi occhi vedranno Gerusalemme, dimora tranquilla, tenda che non sarà più rimossa, i suoi paletti non saranno divelti, nessuna delle sue cordicelle sarà strappata. (Is 33,20)
Confesso a Dio Onnipotente
La Messa è il più importante appuntamento con Gesù. Non possiamo presentarci in disordine. Lui non dà importanza al nostro vestito esteriore ma solo a quello interiore, il quale può essere sudicio. Che fare per pulirlo o smacchiarlo? All’inizio della celebrazione il sacerdote dice: “Fratelli, per celebrare degnamente i santi misteri, riconosciamo i nostri peccati”. Il Fondatore aggiunge: per amore della Madonna (m 24.08.1971). Perché lei ci vuole tutti in ordine davanti a suo Figlio.
Dobbiamo ammettere che siamo peccatori e quindi bisognosi di chiedere ed ottenere perdono. Ci sono tanti modi per farlo, ma la formula più completa è certamente “Confesso a Dio onnipotente…”, perché ci induce non solo a riconoscere che abbiamo peccato, ma a dichiararlo davanti a Dio e ai fratelli presenti. Perché anche a loro? Il Fondatore dice: Quando considerate i vostri difetti o le vostre virtù, non dovete limitare il vostro pensiero alla vostra realtà individuale ma a quella collettiva del Corpo Mistico (24.03.1962). Per un solo membro, che nel Corpo Mistico di un’ Opera non è a posto, ne soffre tutta l’Opera (m 24.03.1962).
Per capire meglio serviamoci dell’immagine del circuito elettrico. Una lampadina non si accende se non è avvitata e quindi introdotta nel circuito, il quale permette alla corrente di partire dalla centrale e di arrivare al suo portalampade. Il Corpo Mistico è come il circuito elettrico, la Comunione dei Santi è come la corrente che parte dalla Santissima Trinità ed è immessa nel circuito dal Divino Amore. Come battezzato sono una lampadina “autonoma”, per cui posso avvitarmi o svitarmi liberamente. Se sono avvitato, cioè in grazia di Dio, permetto allo Spirito Santo di giungere fino a me e di trasformarsi in luce e calore a vantaggio di tutti i fratelli del mondo. Ma se sono svitato, perché resto in peccato mortale, allora non posso irradiare Amore. Infatti sono una lampadina spenta che, senza impoverire la ricchezza della centrale ricolma di Energia infinita, diminuisce l’intensità della luce e del calore nella Comunione dei Santi. Se le lampadine spente fossero centinaia, migliaia, … quale buio! Il Fondatore lo dice con un’immagine molto più breve ma non meno incisiva: Per vedere la cappella in disordine non c’è bisogno che tutti i banchi siano uno sopra l’altro, basta che uno solo sia in mezzo al corridoio (m 24.03.1962).
Ne consegue che se il mio peccato è grave, non do Amore, se è veniale, ne do poco. Esso può essere fatto coi pensieri, con le parole, con le opere (le azioni) e le omissioni (il bene che potevo fare e non ho fatto). Comunque sia, è sempre un danno spirituale, talora anche materiale, per la famiglia dei figli di Dio sulla terra. Per questo devo chiedere perdono a loro attraverso i fratelli presenti, ai quali raccomando di intercedere per me. E devo pure ricordare che il mio peccato reca dispiacere anche a quelli del Cielo, per cui “supplico la beata sempre vergine Maria, gli angeli e i santi (comprese le anime purganti) di pregare per me il Signore Dio nostro”.
Tutto questo diventa un atto solenne di riconciliazione universale, dichiarato dal sacerdote con le parole: “Dio onnipotente abbia misericordia di noi, perdoni i nostri peccati e ci conduca alla vita eterna”. Il lavaggio e le smacchiature hanno ripulito il mio cuore (ricordando che per il peccato mortale è necessaria anche la confessione).
Ora, posso presentarmi in ordine a Gesù. Se mi sentissi ancora indegno, mi conforta il Fondatore con le parole: Se ci sentiamo ancora indegni, allora viene la Madonna, prende il suo manto e ci copre tutti, come siamo, con i nostri difetti...Ma copre anche tutti i peccatori che vuol salvare (m 12.06.1956). Un grazie a lei per questo suo atteggiamento da vera mamma. Con questo gesto ella partecipa all’azione espiatoria del Figlio che si sacrifica a causa delle nostre disobbedienze. E ciò viene rammentato più volte, ad esempio nel Gloria: “Agnello di Dio, che togli i peccati del mondo, abbi pietà di noi!”, nella consacrazione: “Sangue versato per voi e per tutti in remissione dei peccati…
Prima di terminare questa riflessione è giusto dire che, se siamo sempre in grazia di Dio per l’amore che portiamo a Lui e specialmente al nostro prossimo, allora diventiamo dei fari la cui luce va molto lontano, oltre i limiti del nostro sguardo umano. Come il male reca danno a tutto il Corpo Mistico, così il bene rende servizio allo stesso Corpo al punto di raggiungerne anche i vasi più capillari. Serviamoci di un esempio: lavare bene i piatti per amore della Madonna può incoraggiare un Missionario, che non conosciamo neppure, a superare una situazione difficile. Sono gli scherzi della circolazione misteriosa del bene nel Corpo Mistico, attraverso la Comunione dei Santi. (cfr m 24.03.1962)
Parla il nostro Dio
Allora io sarò il loro Dio ed essi il mio popolo. (…) Tutti mi conosceranno dal più piccolo al più grande, dice il Signore; poiché io perdonerò la loro iniquità e non mi ricorderò del loro peccato.” (Is 31,34)
Gloria a Dio nell’alto dei cieli
Il Gloria è un inno in cui si alternano la lode e la gratitudine per la gloria di Dio e la supplica per la nostra miseria spirituale. E’ uno dei gioielli più antichi della nostra preghiera liturgica. (Secondo alcuni è il “Magnificat” della Messa, che ci fa rivivere la nascita di Gesù) Con il “Te Deum”, di cui ha la stessa struttura: lode a Dio e invocazione a Cristo, è uno dei più rari esemplari che ci restano dei salmi non biblici, ma ispirati dalla Bibbia, recitati dai primi cristiani. E’ stato introdotto nelle grandi feste presiedute dal vescovo. Riportiamone le parole:
Gloria a Dio nel più alto dei cieli e pace in terra agli uomini di buona volontà. Noi ti lodiamo, ti benediciamo, ti adoriamo, ti glorifichiamo, ti rendiamo grazie per la tua gloria immensa, Signore Dio, Re del cielo, Dio Padre onnipotente. Signore, Figlio unigenito, Gesù Cristo, Signore Dio, Agnello di Dio Figlio del Padre, tu che togli i peccati del mondo, abbi pietà di noi; tu che togli i peccati del mondo, accogli la nostra supplica; tu che siedi alla destra del Padre, abbi pietà di noi. Perché tu solo il Santo, tu solo il Signore, tu solo l’Altissimo, Gesù Cristo, con lo Spirito Santo: nella gloria di Dio Padre. Amen.
Le parole “Gloria a Dio…”, cantate dal coro degli angeli, sono precedute da un messaggio rivolto da uno di loro ai pastori del luogo: “Oggi è nato nella città di Davide un salvatore, che è il Cristo Signore” (Lc 2,11) . Essi decidono di andare subito a Betlemme per rendersi conto dell’avvenimento annunciato (cfr Lc 2,15) . Don Umberto parla di questo passo del Vangelo con la fede, la gioia e la gratitudine del vero credente, per il quale è sempre Natale, perché il tabernacolo è il “presepe perpetuo” di Gesù, dove Lui non ci sarebbe se non fosse già “nato” al momento della consacrazione. Questa mistica nascita è una vera sorgente di vita per ciascuno di noi, soprattutto ogni volta che partecipiamo al Divin Sacrificio con la Comunione. Dunque il Padre, alla presenza di Gesù Eucaristia, rivive l’atmosfera dell’Incarnazione, come è descritta nel vangelo di Luca (cfr m 28.11.1971). Vale la pena presentare la sua riflessione:
L’annuncio dell’angelo, indirizzato ai poveri pastori, si rivolge continuamente a tutta l’umanità ripetendo le stesse parole: “Andate, andate a vedere Gesù”. Lo ripete anche la Chiesa, come se fosse una voce celeste che risuona nel turbinio delle vicende umane. A tutti dice, specialmente nella notte di Natale: “Uscite dalle vostre case, qualunque esse siano, venite in chiesa da Gesù. Lo troverete nel presepe avvolto nei panni come ogni neonato accanto alla sua mamma. Ma egli è già presente in chi è abituato a custodirlo nel cuore e lo sarà soprattutto nella santa Comunione. Adoratelo, perché in Lui è nato il Salvatore e ringraziate la Madonna, perché ce l’ha portato sulla terra per la nostra salvezza. (cfr m 25.12.1962)
Il Padre guarda lontano ma anche vicino, perché se il “Gloria” non ci coinvolge personalmente nella vita pratica, rimane una bella formula antica. Per questo si chiede: Che cosa rimarrà sulla terra dopo la venuta di Gesù? E risponde: Godremo la pace se avremo la buona volontà di continuare ad adorarlo, ad ascoltare il suo vangelo e a metterlo in pratica nella nostra vita quotidiana, che deve rispecchiare la bontà di Dio (m 25.12.1962).
E aggiunge qualche cosa di nuovo riguardante la nostra povertà spirituale:
“E pace in terra agli uomini di buona volontà”. Risulta che la traduzione dall’originale più esatta è “agli uomini che egli ama”. Don Umberto è fedele al testo ancora in uso e ne dà la spiegazione: Pace in terra per chi? Per i re, i potenti, i ricchi? No! Per i poveri, i malati, i sani? Neppure! Per chi ha buona volontà. Gesù è veramente mite ed umile di cuore, per questo si accontenta della nostra buona volontà. La vuole, perché altrimenti non avremo la pace. Allora diamogliela tutta! E impariamo da Lui la mitezza e l’umiltà del cuore (m 09.06.1961).
Il Padre non può dimenticare sua Madre alla quale si rivolge con una breve preghiera: La Madonna, come accolse i pastori, gradì le loro adorazioni a Gesù e li ricolmò di benedizioni e di grazie, così accolga anche noi, eucaristici, e ci ricolmi dei doni del suo Divino Amore (m 25.12.1962).
Parla il nostro Dio
Dio darà gloria, onore e pace a quanti compiono il bene, prima agli Ebrei e poi a tutti gli altri. Dio infatti non fa differenze. (Rm 2,10)
L’orazione o colletta
Il rito di apertura contiene la prima orazione che si chiama anche colletta. Il sacerdote la pronuncia nell’atteggiamento dell’orante con le mani elevate . Dopo l’antifona d’ingresso, il saluto e l’atto penitenziale, questa è la prima preghiera della Messa. E’ preceduta dall’invito solenne del celebrante “Preghiamo”, parola che rischia di passare inosservata se non è seguita da un piccolo tempo di silenzio durante il quale tutti i presenti esprimono a Dio i loro desideri e quelli di tutti i fratelli. Il sacerdote li fa propri per presentarli subito dopo nell’orazione al Padre dei cieli, quasi fossero dei fiori riuniti in un unico mazzo. Solo così si spiega il senso della parola “colletta”, che significa “raccolta”. In pratica il celebrante invita i fedeli, battezzati come lui, ad esercitare il loro sacerdozio battesimale attraverso la preghiera che diviene quella della Chiesa. Don Umberto considera specialmente l’oremus come il fondamento di ogni spiritualità (m 10.10.1962).
Le orazioni della Messa di rito romano hanno tutte la stessa struttura: il collegamento a Dio per mezzo del Figlio nell’unità dello Spirito Santo, la domanda e la conclusione. Esse potrebbero sembrare fredde e astratte, in realtà non è così. Ci viene in aiuto don Umberto che se ne serve molto spesso nelle sue meditazioni, ravvivandole con brevi espressioni personali, senza variarne il senso. Sembrerebbero superflue, invece dicono tutta la sua attenzione ad ogni parola. Cito qualche suo passaggio molto significativo e, direi, anche pedagogico.
Capodanno 1968. Ecco l’originale dell’orazione: “O Dio, che nella verginità feconda di Maria hai donato agli uomini i beni della salvezza eterna, fa che sperimentiamo la sua intercessione, poiché per mezzo di lei abbiamo ricevuto l’autore della vita, Cristo tuo Figlio. Egli che è Dio, e vive e regna con te nell’unità dello Spirito Santo per tutti secoli dei secoli.”
Il Padre le ravviva con il suo commento, (le parole in corsivo sono sue):
La colletta dice: O Dio, che nella verginità feconda di Maria Santissima… Sono parole che ricordano il mistero dell'incarnazione avvenuto nella sua fecondità verginale per opera dello Spirito Santo. L’orazione prosegue: hai donato agli uomini i tesori della salvezza eterna, cioè il Cristo Signore. Si conclude: Concedi a noi di sperimentare (bisogna che ce ne ricordiamo!) l'intercessione di Colei per la quale siamo stati resi degni di accogliere nella nostra umanità l'autore della vita Gesù Cristo, Figlio suo. Il nostro cuore gioisce molto quando sentiamo che la Chiesa, in questa orazione del primo giorno dell'anno, ci richiama questo pensiero di fede: va avanti tranquillo, o figlio fedele della Chiesa, figlio devoto della Madonna, nulla ti mancherà se Maria prega per te (m 01.01.1968).
Pasqua 1971. L’orazione è: “ O Padre, che in questo giorno, per mezzo del tuo unico Figlio, hai vinto la morte e ci hai aperto il passaggio alla vita eterna, concedi a noi, che
celebriamo la Pasqua di risurrezione, di essere rinnovati nel tuo Spirito, per rinascere nella luce del Signore risorto. Egli è Dio e vive e regna con te…”
Don Umberto se ne serve così: (le parole in corsivo sono sue)
Hai vinto la morte, Signore, e ci hai aperto il passaggio alla vita eterna. Sostanzialmente la nostra gioia è proprio Lui che ci ha dato la possibilità di risorgere. Concedi a noi, che celebriamo la Pasqua di Risurrezione, di essere rinnovati nel tuo Spirito per rinascere nella luce del Signore risorto. Meditiamo a quanto Dio, la Madonna, la Chiesa, il Cielo godono di questo avvenimento e a come ne gode lo stesso Gesù, che sembra dirci: mi è costata tanto, ma ho vinto ed ho ottenuto quello che volevo e che voleva il mio Divin Padre. Così per ogni nostra cosa dobbiamo sempre dire: le opere nostre ci costeranno a cominciare dalla nostra santificazione, che ci impegna tanto. Ricordiamo che quanto più soffriremo tanto più godremo. (m 11.04.1971)
Pentecoste 1972. Ecco l’orazione: “O Padre, che nel mistero della Pentecoste santifichi la tua Chiesa in ogni popolo e nazione, diffondi sino ai confini della terra i doni dello Spirito Santo e continua oggi, nella comunità dei credenti, i prodigi che hai operato agli inizi della predicazione del Vangelo. Per il nostro Signore Gesù Cristo…”
Don Umberto dice: Nella colletta si invoca lo Spirito Santo. Il ricordo così sintetico e così completo della sua azione nel giorno di Pentecoste deve essere anche per noi un ricordo speciale e perpetuo poiché viviamo nel Divino Amore, cioè nella grazia dello stesso Spirito per essere pieni di fede in Lui (m 21.05.1972).
Parla il nostro Dio
Signore, a te grido, accorri in mio aiuto; ascolta la mia voce quando t’invoco. Come incenso salga a te la mia preghiera, le mie mani alzate come sacrificio della sera. (Sal 141, 1-2)
La Parola di Dio
L’orazione o colletta è nel contempo il culmine e la conclusione del rito di introduzione della Messa. E’ giunto il momento della Parola, che esige di essere creduta. Gesù ci salva con la sua croce e la sua risurrezione, ma prima ancora con la sua Parola, la cui luce deve precedere il mistero della fede per illuminarlo. Gesù è il Verbo che si è fatto carne (Gv 1,14), cioè vita, per cui quello che annuncia corrisponde a quello che ha fatto, che fa o che farà. E’ la sintesi perfetta tra il fare e il dire. Nella Messa ci sono tre o due letture prese dalla Bibbia, in generale la prima è dell’Antico Testamento, la seconda e la terza del Nuovo. Quest’ultima è sempre un brano dei quattro Vangeli. S.Paolo dice: “La fede dipende dall’annuncio della Parola e questo si attua attraverso quella di Cristo” (cfr Rom 10,17)
Poiché si tratta di Bibbia leggiamo qualche passaggio di don Umberto:
Vi faccio una raccomandazione particolare. Voi siete tutti uniti a Dio, prendete la Sacra Scrittura come il vostro libro più importante. Potete trovare mille cose belle nei libri di vario genere della cultura antica e moderna. Vi confesso che non ho mai avuto una passione speciale per le cose scritte, da 33 anni a questa parte il Signore mi ha dato il tempo di leggere un po' il giornale. Se ho fatto una lettura intensa e continua, a cominciare dal tempo del seminario e fino ad oggi, è quella della Bibbia. L'ho letta tutta, almeno una volta! Per farlo, ci sono voluti tre anni e mezzo, però l'ho letta. Voi, leggendola, guardate alla sostanza (m 27.09.1963).
Il Padre ha scelto il modo migliore per rileggerla continuamente. Infatti si serve moltissimo della Parola offerta dalla liturgia della Messa e la medita calandola nella realtà della vita. Lui dice: La Parola della Bibbia nella Messa va meditata (m 05.03.1953) . Io faccio sempre la meditazione sulle circostanze che viviamo. Ed è la meditazione più importante, più pratica, più utile, perché così non mi distraggo (m 15.12.1958).
Egli diventa il nostro consigliere sul modo di ascoltarla durante la celebrazione:
La Parola deve giungere prima alla nostra intelligenza per poterla capire bene, e poi scendere nel nostro cuore per amarla, tenerla stretta dentro di noi, valorizzarla, assimilarla, viverla.
Per spiegarsi meglio si serve di una bella immagine:
La goccia, che scende una dopo l’altra, sia pure lentamente, nello stesso posto, scava la pietra. Anche se la mia testa è di pietra, a forza di leggere la Parola e di farmela ripetere, finirà per scavarmela. Allora bisogna esser pronti a riceverla, con il cuore aperto per l'attuazione del mistero di Dio nella nostra perfezione e nel nostro apostolato. (cfr m 25.02.1957)
Cita più volte il seguente passo del Vangelo:
Mentre diceva questo, una donna alzò la voce di mezzo alla folla e disse: “Beato il ventre che ti ha portato e il seno da cui hai preso il latte!” Ma egli rispose: ”Beati piuttosto coloro che ascoltano la parola di Dio e la osservano” (cfr Lc 11,27-28). E vi deduce:
Guai a non apprezzare la minima parola del Signore, io prendo Gesù alla lettera. Se Lui ha detto che più beata di sua Madre è un’anima che ascolta la voce del Signore e la mette in pratica, io devo credere, e credo, a nostro Signore, al Vangelo che Lui mi ha lasciato e mi studierò di fare pienamente la volontà di Dio secondo il mio stato, per piacere ed essere unito a Lui in modo tale che la potenza di Dio sia presente nell’anima mia. (m 22.03.1953)
Come Fondatore si sente l’ ambasciatore della Parola secondo la luce del carisma ricevuto da Dio. Per cui non ha paura di dire:
Non c'è bisogno che Dio vi mandi un angelo dal cielo, la sua voce arriva a voi in tanti modi. Credo che nella storia delle fondazioni degli Istituti non ci sia stata mai un'abbondanza di ispirazioni di Dio e di grazie celesti quanto questa del Divino Amore! Non vi è mancata la parola di Dio, ve l'ho potuta dire da vivo e ve la ridirò anche da morto; ma prima di attendere la mia voce da morto, accogliete quella da vivo, che è la voce di Dio, di Gesù, della Madonna, di S. Giuseppe (era la sua festa!). Se viene accolta, allora diventa anche la voce del nostro cuore, della nostra vocazione che ci ispira il modo di comportarci nei riguardi di noi stessi, del Divino Amore e delle sue Opere. (m 19.03.1957)
Parla il nostro Dio
Lampada per i miei passi è la tua parola, luce sul mio cammino. (Sal 119, 105)
Il salmo responsoriale
Prima della lettura del vangelo si recita o si canta il Salmo Responsoriale, che si articola fra il lettore o cantore e l’assemblea, in uso fin dai primi tempi della Chiesa. Generalmente continua in modo poetico il tema della lettura precedente o aiuta ad assimilarla sotto forma di preghiera. Il Padre, soprattutto negli ultimi anni della sua vita, se ne serve di frequente, gustando soprattutto il ritornello. Potrebbero essere citati molti esempi, ma la tirannia dello spazio ne permette solo alcuni. E questi per ricordarci che per lui tutte le parti della liturgia della Messa erano come piccoli canali d’acqua dissetante che sgorgavano dalla sorgente del Divino Amore.
Un primo esempio
Sappiamo di andare incontro a difficoltà da sormontare e all’inizio non ne sappiamo il perché, ma lo sapremo man mano che avanzeremo. Oggi, sabato della 4^ settimana di Quaresima, abbiamo ripetuto nel salmo responsoriale il ritornello, valido per tutti i momenti e tutte le circostanze della vita: “Signore mio Dio, in te mi rifugio!”Io lo ripeto tante volte! Voi fate lo stesso, se non con queste parole, almeno con lo stesso sentimento. Ebbene cerchiamo di vivere questa tranquilla serenità e farci portare dal Signore docilmente, come agnelli, dove vuole Lui. Anche alla morte? Certo, essa giungerà! Anche alla consumazione di tutto noi stessi? Certo, anche quella verrà! Ma sempre con grande sicurezza e con grande docilità, dicendogli: Fai tu! Comportiamoci come il bambino che, dopo aver pianto per una paura subita, si mette sulle braccia della mamma e dorme dimenticando tutto… Per questo rinnoviamo ogni giorno lo spirito della nostra consacrazione alla Madonna e quindi alla nostra vocazione, al suo amore, alle sue opere con fervore sempre nuovo e con energia sempre crescente che ci viene data specialmente dalla santa Messa e in modo particolare dalla Santa Comunione quotidiana. (m 27.03.1971)
Un secondo esempio
Prendo la prima riflessione dalle liturgie che sono state lette in questi giorni, e particolarmente dal salmo responsoriale (Sal 27) di oggi, Lunedì Santo, in cui emerge il concetto fondamentale della fiducia nel Signore. “Il Signore è mia luce e mia salvezza”. Quindi fiducia in Lui! “Se un esercito (terzo versetto) si accampa contro di me, il mio cuore non teme. Se insorge contro di me la battaglia, anche in questa ho fiducia. Sono sicuro di contemplare la bontà del Signore”. Voglio, che questa fiducia, che è sempre stata in me, sia perpetuata in tutti voi. Questo è fondamentale! (m 23.03.1970)
Un terzo esempio, nel quale ribadisce in parte gli stessi concetti del primo e del secondo, ma con sfumature diverse:
Il salmo responsoriale (Giovedì Santo) precisa l'idea che il vostro povero Padre ha avuto nel fare la meditazione, contenuta nelle parole: “Canterò per sempre l'amore del Signore”.
Nella nostra vita di sacerdoti e di religiose che cosa dobbiamo fare? Cantare per sempre il suo amore per noi! Non mancheranno le prove: Quando per la fragilità della nostra
pesante natura umana ci troviamo in momenti difficili, per noi o per l'Opera, invochiamo la Madonna, ma più che altro guardiamo a Gesù nell'Eucaristia e rinfranchiamoci nella Messa e nella Comunione quotidiana. Gesù è il nostro sostegno, in Lui troveremo la conferma giornaliera, continua del suo infinito amore per noi e la certezza che noi dobbiamo costituire il regno del suo amore espresso da queste parole: “Io sono sempre con voi, non vi lascerò mai!” Allora tutta la nostra vita, come dice il ritornello del salmo responsoriale della Messa crismale, deve essere un cantico di lode come quello della Madonna, per cui “Canterò per sempre l'amore del Signore!” (m 26.03.1970).
Il Fondatore esprime ai suoi una richiesta di aiuto. Rendiamola attuale interpretandola come un desiderio espresso dagli attuali superiori maggiori (anche se non sono nella stessa situazione!) : Figlie care (e Figli), sostenete il Padre! La giovinezza se ne va e le opere si moltiplicano! E c'è bisogno di maggiore energia spirituale e fisica! Sostenetelo con la vostra preghiera! Non perché faccia mari e monti, ma perché compia santamente tutta la volontà di Dio per lui, per voi, per l'Opera intera della Madonna (m 27.03.1971).
Parla il nostro Dio
Canterò senza fine le grazie del Signore, con la mia bocca annunzierò la tua fedeltà nei secoli, perché hai detto: “La mia grazia rimane per sempre, la tua fedeltà è fondata nei cieli. (Sal 89, 1-2)
L’omelia
La predicazione della Parola di Dio è necessaria alla vita spirituale come la semina del grano al sostentamento della vita corporale. I testi della Bibbia, redatti più di 2000 anni fa, non sempre sono di facile comprensione. Sono stati scritti per cogliervi dei messaggi da mettere in pratica oggi. L’omelia ha lo scopo di facilitare ambedue le cose. Quindi non può essere solo “dottrinale”, ma deve essere soprattutto “pastorale”. Deve tener conto della vita specialmente delle persone presenti e sgorgare dalla convinzione personale del sacerdote, il quale non deve illudersi di aver fatto una “bella” predica, perché così dicono i fedeli, ma una predica “vera”, perché lo Spirito Santo è passato nel loro cuore attraverso il calore delle sue parole. Il Padre dice: I sacerdoti, che predicano tanto bene sono degli “oratori”, se non c’è dentro Gesù lasciano il tempo che trovano (m 13.02.1967).
Soprattutto i primi anni del suo sacerdozio egli preparava le prediche. Rimangono dei quaderni e dei foglietti nei quali si può leggerne lo schema. Più tardi dirà che non ha più il tempo di farlo per cui, essendo sempre in comunione con lo Spirito Santo e la Madonna, si affida a loro. Non vuole assolutamente predicare se stesso. Leggiamolo:
Quando qualche volta salgo sul pulpito e penso di dover parlare - non è da un giorno che lo faccio - ci salgo sempre con la stessa trepidazione la quale non mi fa mancare la parola, perché pensa il Signore a mandarmela. E’ una trepidazione che mi fa convincere che potrei gridare quanto voglio, parlare non 25 minuti, ma 30, 40, 100... senza concludere nulla. Chiamo lo Spirito Santo, invoco la Madonna e dico: “Pensaci tu!” Qualche parola rimarrà nel vostro cuore e porterà frutto. Ricordiamoci sempre di questo: “Siamo dei servi inutili”. (m 18.02.1953)
Accennando ad un oratore delle Basiliche romane, “sempre preparato”, dice:
Vi parlavo di quel tal sacerdote, che non si preparava alle prediche, perché era già pronto. Forse non ha peccato! Ma mi chiedo: Ha contentato il Cuore di Gesù? E’ riuscito a smuovere almeno un'anima? Ne dubito! Ecco la vera spina di Gesù, quella di non sentirsi compreso nel suo amore! (m 09.06.1956)
Vediamo come predica il Padre. Un esempio fra i moltissimi.
In questo brano del vangelo di Luca (8,4-15) Dio ci invita a compiere il nostro dovere, dovunque noi siamo, nel senso che ciascuno di noi ascolta la Parola e l’avverte secondo lo stato in cui si trova. Però non va ascoltata come coloro che tante volte vengono alla Madonna del Divino Amore, sentono la predica e poi parlano con il parroco e dicono: come ha parlato bene don Umberto! Io sono un fonografo, ci metto la voce ma non è la mia! Parlo a nome della Madonna, a nome di Dio!
Dovete credere che io stimo voi, qui presenti in santuario, come i più bravi devoti mariani, ma, una volta usciti di chiesa, mi chiedo se ricorderete la parola che avete
ascoltato. Se ve la ricordaste, sareste i più bravi cristiani. L’anno scorso nella mia parrocchia è stato lasciato il Vangelo in tutte le case. Ci sarà anche nelle vostre! Spero che non l’abbiate messo dentro il cassettone o nel comò, con la naftalina sopra! (m 29.01.1967)
Il Padre aggiunge qualche cosa di molto importante, valido per tutti noi ed anche per quelli che non frequentano il santuario. Fa capire che, se la predica non ci è servita, ci resta sempre la possibilità di rileggere con comodo le letture e contare sulle buone ispirazioni. Apriamo il nostro cuore alla Parola, che non è solamente quella che voi sentite nell’omelia, ma è anche l’ispirazione di Dio, i buoni sentimenti che avete e che si destano nel vostro cuore quando venite qui, dalla Madonna. Lei, come una buona mamma, non vi manda mai via senza darvi un suggerimento pieno di amore e di premura e vi fa capire quanto desidera il vostro bene (m 29.01.67).
Concludiamo con quanto dice il Fondatore richiamandoci alla nostra missione sacerdotale, battesimale o ministeriale: Il carattere del sacerdozio di Cristo non è soltanto il Divin Sacrificio, e quindi l’Eucaristia, ma anche l’apostolato non statico ma molto dinamico: “Andate in tutto il mondo e predicate il Vangelo a tutte le genti” (m 02.09.1971).
Parla il nostro Dio
Figlio dell’uomo, tutte le parole che ti dico accoglile nel cuore e ascoltale con gli orecchi: poi va, recati dai figli del tuo popolo e parla loro: Cosi dice il Signore, ascoltino o non ascoltino. (Ez 3, 10-11)
Il Credo
L’omelia è seguita, nei giorni festivi, dalla recita del Credo. Esso non è una semplice enumerazione degli articoli della fede e neppure un condensato dogmatico, ma un riassunto di tutta la storia della salvezza dalla creazione alla vita eterna, passando per l’Incarnazione, la discesa dello Spirito Santo, il mistero della Chiesa e dei Sacramenti. Costituisce una risposta al Vangelo nel senso che noi, dopo aver ascoltato il messaggio di Gesù, gli manifestiamo la nostra adesione. Nel contempo il Credo ci ricorda il nostro Battesimo, grazie al quale siamo divenuti membri del popolo di Dio, con la missione di essere “sacerdoti, re e profeti” (cfr Rito del Battesimo). Dopo questa breve presentazione, poiché il Credo ci richiede di vivere con coerenza il suo contenuto, emerge per ciascuno di noi la necessità di praticare le tre virtù soprannaturali: la fede, la speranza e la carità, ricevute nel Battesimo. Facciamolo con le parole del Fondatore, cominciando dalla fede, che è la piena fiducia in Dio.
Fede (= fiducia illimitata, tema tanto caro al Padre)
Noi siamo compartecipi del sacerdozio di Gesù e quindi testimoni e annunciatori del suo messaggio. Faremo l’esperienza del suo immenso amore se porremo la nostra fiducia illimitata in lui. Egli porterà il fuoco dell'amore prima nella nostra anima e poi, attraverso noi, in quella dei fratelli e nelle nostre opere. Così saremo sollecitati ad aiutarlo a compiere la sua missione di salvezza. E potremo dire con S. Paolo: “Tutto posso in colui che mi dà la forza” (Fil 4,13). Quando vuole qualche cosa da noi, provvederà Lui stesso all'azione, al tempo, ai mezzi. Guidati dalla Madonna, Madre sua e nostra, non ci mancherà mai nulla (cfr m 18.06.1961).
Quindi fiducia anche in lei:
Io la prego per i Figli e le Figlie, prego per tutti affinché nel nostro animo sia sempre teologicamente radicata una fiducia illimitata in lei, alimentata dall’amore filiale che ci stringe ad essa con tanta intimità di fatto e di diritto. Infatti nella giaculatoria “Mater mea, fiducia mea” (Madre mia, fiducia mia), possiamo avviarci con grande sicurezza e a passi da gigante nella via della santità. (m 03.03.1962)
Speranza irremovibile
Dio ci ha chiamati per quest’ Opera e noi gli abbiamo risposto: Eccomi! Di tutto questo siamo tranquilli, sicuri, matematicamente certi, e questo ci dà una grande speranza. Dice il Padre: Ogni volta che tentennate in questo pensiero, rubate qualche cosa a Dio della missione che vi vuole affidare. Se qualche opera non viene fatta è colpa vostra, perché Dio non vede in noi lo slancio immediato dell'Ecce ancilla Domini e quindi la prontezza nel dire sempre di sì. Nel fare la sua volontà non mancheranno le spine. Guai se non ci fossero! Sono quelle che ci proteggono e ci invitano a camminare, a guardare sempre in alto. Lo spirito che ci fa avanzare è credere che Dio ci ha chiamati e la
Madonna ci ha voluti. Un particolare di questa fede è l'abbandono nella Divina Provvidenza. Gesù ci dice: “Non siete voi che avete scelto me, ma io ho scelto voi” (Gv 15,16). Con queste parole ci vuol far capire che Lui provvede a tutto. Noi siamo soltanto degli strumenti suoi (m 13.03.1956). Abbiamo dei buoni motivi per sperare!
Amore senza fine
Come si potrebbe parlare di questo Amore senza parlare dell’Eucaristia? Gesù ha saputo trovare il modo di morire nella sua natura umana, di risorgere, di salire al cielo e nel contempo di rimanere tra noi per tutti i secoli sotto forma di ospite, quale possiamo trovarlo nel tabernacolo. Si è fatto Cibo, lasciando alla nostra libera scelta di visitarlo e di mangiarlo. E’ un Cibo che, se mangiato bene, assicura la sua presenza in noi, facilita e nutre la nostra unità con tutti i membri del suo Corpo Mistico. Inoltre garantisce la nostra partecipazione alla comunità perfetta in Paradiso (cfr Gv 6,54).
Noi viviamo nella pienezza della grazia di Dio, ma forse non valorizziamo nel modo dovuto il dono della sua presenza e quindi non corrispondiamo con il nostro amore al suo Amore. Il quale ci porterà a farci noi stessi pane spezzato per i fratelli che hanno fame di comprensione, di aiuto, di un sorriso. (cfr m 08.06.1956)
Parla il nostro Dio
Al di sopra di tutto vi sia la carità, che è il vincolo della perfezione. E la pace di Cristo regni nei vostri cuori, perché ad essa siete stati chiamati in un solo corpo. E siate riconoscenti! (Col 3, 14-15)
Il pane
La prima parte concernente la Parola si conclude con le intenzioni della preghiera universale. Siamo arrivati all’offertorio. Dovremmo viverlo come l’ha vissuto la Madonna quando nel tempio offrì suo Figlio a Dio, alcuni giorni dopo la sua nascita. Il Fondatore osa dire: Il gesto della Madonna è stata la prima opera, diciamo così, sacerdotale nel mondo. In quel momento Iddio le rivelò, con le parole del santo Simeone, la parte di dolore, che essa avrebbe avuto in futuro. Dolore perché Gesù sarebbe diventato “segno di contraddizione” in quanto da molti, al posto di essere amato, sarebbe stato rigettato e messo a morte (cfr m 01.02.1962).
Ritorniamo al pane e al vino, che non sono ancora Gesù, ma lo saranno fra poco. Noi ci offriamo con essi. Se non lo facessimo, quel pane e quel vino sarebbero privi del loro significato, perché Egli non viene solo per salvare noi, ma anche per aiutare noi a salvare il mondo con Lui. Dobbiamo espropriarci di noi per darci in essi completamente a Dio. Nel contempo in questa offerta dobbiamo diventare gli interpreti di tutta la creazione, come dice il sacerdote a nome di tutti i presenti: “Benedetto sei tu, Signore, Dio dell’universo, dalla tua bontà abbiamo ricevuto questo pane, frutto della terra e del lavoro dell’uomo, lo presentiamo a te, perché diventi per noi cibo di vita eterna.” (In queste parole il plurale dei verbi “abbiamo ricevuto” e “presentiamo” è l’espressione dello stesso sacerdozio battesimale cui partecipano il sacerdote e i fedeli, cfr CEV II 2878)
Frutto della terra! E’ una parola molto importante, perché rievoca la creazione, come espressione dell’Amore di Dio e della sua fantasia infinita. (In questo capitolo ci soffermiamo sulla parola “terra”, nel prossimo su “lavoro”) La terra è una parte dell’ universo che si prolunga senza fine nel cielo stellato come in un grande altare di Dio (m 28.01.1971). Quasi fosse un libro senza indice, perché tutto in esso si rinnova. Basterebbe pensare al continuo susseguirsi delle stagioni, alla vita che esplode ad ogni arrivo della primavera. Al momento dell’offerta dell’ostia il nostro sguardo interiore farà scattare un flash che ci rammenta il panorama di tutti gli esseri viventi, che conosciamo e non conosciamo: dalla pietra al fiorellino del prato, dal corso d’acqua all’uccello che canta nel bosco… al grande altare del cielo stellato. Saranno tutti là, in quella particola di pane che diventa l’espressione dell’onnipotenza di Dio che ha fatto il cielo e la terra e tutte le meraviglie che vi sono racchiuse (cfr m 08.10.1972). Saremo il loro mediatore, attireremo a noi tutto il creato, perché Dio, avendo fatto l’uomo a sua immagine e somiglianza, gli ha affidato tutta la terra (cfr Gn 1, 26-31).
Sì! Dio ha affidato la terra all’uomo, ma l’uomo molte volte non la rispetta. Il Fondatore dice, pregando lo Spirito Santo: Che tutto il mondo appaia più bello che mai, non nelle cose create da Dio e sorrette dalla sua onnipotenza, ma in noi, creature intelligenti, che dovremmo essere i cantori continui della meravigliosa bontà di Dio e invece diventiamo i profanatori delle sue bellezze, come fossimo dei rapinatori della sua gloria (m 01.01.1957). E’ bene ripetere che se al momento dell’offertorio offriremo noi stessi e con noi tutte le creature, allora realizzeremo il suo disegno sull’uomo, da Lui chiamato
a vedere nell’universo il tempio audiovisivo del suo infinito Amore e diventarne il suo sacerdote.
Saranno offerte a Lui anche tutte le calamità naturali: i terremoti, le alluvioni, la siccità, le pestilenze … (cfr m 28.12.1971). E non solo queste, ma anche come dice S. Paolo:
“Vi esorto ad offrire i vostri corpi come sacrificio vivente, santo e gradito a Dio” (Rm 12,1). Quindi nell’offerta del pane, frutto della terra, è compreso anche il nostro corpo, che si nutre di mille elementi che vengono dalla natura. Noi siamo terra. “Ricordati che sei polvere e in polvere ritornerai!” Don Umberto dice: siamo un dono di Dio. Per noi siamo polvere, per Dio siamo quel che lui ha voluto (cfr m 02.01.1960). Per cui, fino al momento della morte, siamo polvere organizzata in un corpo che costituisce una delle macchine più complesse e meravigliose di tutto il creato.
Questo nostro corpo è presente nel cuore di Dio Padre da tutta l’eternità in quanto lo ha progettato per suo Figlio nell’uomo e per Maria nella donna (cfr m 01.09.1963). Noi siamo degli esemplari di quei due corpi e Dio si compiace di averci creati come siamo. Noi eravamo presenti nel cuore di Dio da tutta l’eternità, prima che noi esistessimo. Forse non abbiamo mai pensato a questa sua delicatezza di metterci al mondo come e quando Lui ha predisposto nel suo infinito amore per la nostra salvezza e per la nostra gloria (m 22.11.1970 e Sal 139,13-16).
Parla il nostro Dio
Il Signore è mia parte di eredità e mio calice: nelle tue mani è la mia vita. Per me la sorte è caduta su luoghi deliziosi, è magnifica la mia eredità. (Sal 16, 5-6)
Il vino
All’offerta del pane segue quella del vino: “Benedetto sei tu, Signore, Dio dell’universo: dalla tua bontà abbiamo ricevuto questo vino, frutto della vite e del lavoro dell’uomo; lo presentiamo a te, perché diventi per noi bevanda di salvezza.”
Il Fondatore non ha accettato facilmente, e non solo lui, questa formula, introdotta nella liturgia dal Concilio Ecumenico Vaticano 2°. Secondo il suo parere la parola “lavoro” sapeva troppo di “comunismo” (In quegli anni i partiti di sinistra rivendicavano i diritti dei lavoratori in modo sempre più organizzato e talora prepotente). Se quella parola lo disturbava, è pure giusto dire che credeva e difendeva profondamente la fraternità mondiale. Ecco come ne parla:
I movimenti sindacali, i loro dirigenti si dichiarano troppo “per i lavoratori”. E tutta l'altra gente che fa? Tutti sono lavoratori, perché in qualche modo tutti debbono esercitare le forze della loro vita e cooperare alla vita terrena nel mondo; non c'è nessuno che stia senza far niente. Quello che manca è la vera fraternità… Oggi abbiamo ancora milioni, decine, centinaia di milioni di popoli così detti sottovalutati, oppressi dalla fame. (m 02.01.1970)
Dunque la sua sensibilità evangelica gli permette una visione mondiale della situazione del lavoro al quale tutti gli esseri umani hanno diritto di accesso, anche se costa sacrificio a chi può fornirlo. Lui parla spesso anche delle fatiche apostoliche:
Per affrontare quest'Opera non indifferente, che presenta innumerevoli difficoltà e fatiche a cui sobbarcarsi, non ci sarà in noi alcun timore, ma avremo la massima serenità e gioia perché, facendo la santa volontà di Dio, Lui è con noi, opera in noi e per mezzo di noi. (m 31.03.1956)
Alla luce di queste considerazioni l’offerta del vino acquista una dimensione veramente universale e personale nello stesso tempo. Nel ritornello del canto “Guarda questa offerta” si ripete “Nella tua Messa la nostra Messa, nella tua vita la nostra vita”. E nella vita il lavoro è necessario. S. Paolo dice: “Chi non vuol lavorare, non deve neanche mangiare” (2 Ts 3,10). Già il pane e il vino non sono dati direttamente dalla natura, ma dal lavoro dell’uomo, il quale produce tantissime altre cose con le energie della sua intelligenza e genialità, dal cucchiaio alle forme più sofisticate della tecnologia moderna. Tutta la terra ed anche il cielo sono diventati il suo cantiere, sempre più attivo.
Tutto questo è offerto in quel po’ di pane e vino perché sia trasformato nel corpo e sangue del Redentore e possa acquistare un valore divino ed eterno. Ma la parola “lavoro” non contiene solo l’utile e il bello di ciò che produce, ma anche il “brutto”, dentro il quale non ci sono soltanto le fatiche e il sudore della fronte, ma anche tutte le forme di sfruttamento, di oppressione, di ingiustizie, di inquinamenti, di malattie, di morte da esso
causate, comprese le guerre, poiché anch’esse sono purtroppo un lavoro. Sono la parte di dolore dell’offertorio! Il Fondatore preferisce vedere questo “brutto” in quelle poche gocce, che vengono versate nel vino contenuto nel calice (Nell’Apocalisse - 17,15 - si legge: “Le acque simboleggiano i popoli”). Lui dice: Le piccole gocce d'acqua rappresentano le tue difficoltà. Nomina quattro cose che ti fanno soffrire, le tre o quattro gocce d'acqua sono le tue pene, i tuoi sacrifici. Il tuo lavoro è un’altra goccia per il compimento quotidiano del Divin Sacrificio. Nella nostra offerta alla Madonna noi preghiamo che la nostra povera vita quotidiana sia unita a tutte le intenzioni del suo Cuore Immacolato e a quelle del Cuore Sacrosanto di Gesù, perché tutto sia realizzato nella Messa (m 16.04.1957).
Questo calice deve diventare la più grande discarica dell’universo. Tutto deve entrarci, perché tutto sia riciclato nel Sangue di Cristo.
Ma il pane ed il vino sono anche il segno degli uomini che al lavoro si devono sentire “insieme”, in una lunga catena che va dall’agricoltore alla domestica, dall’impiegato al direttore, dal politico al magistrato, dal volontario al militare semplice o graduato, dalla suora al frate, dal prete al vescovo, dall’Italiano al Marocchino. In questo pane e vino noi riuniamo tutti i credenti e i non credenti e li offriamo al Padre dei Cieli, perché il Cristo, innalzato sulla croce, li attiri e li unisca tutti a sé nel vincolo della giustizia e della pace. E poi faremo tutta la nostra parte per collaborare con Lui a questa unità totale (cfr m 02.06.1961).
Parla il nostro Dio
Fatevi imitatori di Dio e camminate nella carità nel modo che anche Cristo vi ha amato e ha dato se stesso per noi, offrendosi a Dio in sacrificio di soave odore. (Ef 5, 1-2)
Il prefazio
Dopo l’invito del sacerdote a pregare con lui perché il suo sacrificio e quello dei fedeli sia gradito a Dio Padre, tutte le preghiere eucaristiche, dette “Canoni”, cominciano con un dialogo fra il sacerdote e i fedeli:
° Il Signore sia con voi.
° E con il tuo spirito.
° In alto i nostri cuori (affinché i nostri pensieri assumano la dimensione divina).
° Sono rivolti al Signore.
° Rendiamo grazie al Signore, nostro Dio.
° E’ cosa buona e giusta.
Questo dialogo è antichissimo! Soprattutto l’invito “Rendiamo grazie a Dio” risale quasi sicuramente alle usanze della prima comunità cristiana. Subito dopo viene pronunciato o cantato il prefazio che annuncia l’avvenimento liturgico della celebrazione, come possono essere il Natale, la Pasqua, una festa della Madonna o di un Santo. Esso termina sempre con la glorificazione di Dio, tre volte santo.
All’attenzione del Fondatore non sfugge alcuna parte della Messa. Anche un’espressione del prefazio può diventare il tema della sua meditazione predicata. Eccone un primo esempio preso dal prefazio di Natale n.1:
Soltanto la Madonna comprendeva la gioia della sua divina maternità, perché lei sola era ripiena di Spirito Santo e poteva capire i misteri della grazia di Dio che si erano operati in Lei. Ella contempla tra le sue braccia Gesù, lo stringe al petto, lo ama e lo riama: Il Figlio di Dio è anche Figlio suo! Ma dobbiamo considerare anche la grande gioia di Gesù. In quel suo corpicino Egli, Dio e Uomo, è presente con tutte le doti della sua divinità, anche se nascosta. Così come lo è nella santa Eucaristia in cui è tutto intero: corpo, sangue, anima e divinità. Sulle ginocchia della Madonna o rinchiuso nel tabernacolo, Egli ha la gioia di essersi dato all'umanità. E noi gioiamo con Lui!
E’ giunto il momento di considerare bene le parole del prefazio natalizio: “Conoscendo Dio visibilmente, per mezzo suo siamo rapiti all’amore delle realtà invisibili”. Soprattutto noi consacrati dobbiamo capire questa frase nella quale siamo sollecitati a scoprire Gesù Bambino nella sua umanità e a guardarlo nell’Eucaristia. Per cui, mentre siamo rapiti dall’amore delle cose invisibili, ci distacchiamo da quelle terrene per vivere nell'unione con Dio, sopraelevarci e divinizzarci in Lui. (cfr m 27.12.1954)
Ecco un secondo esempio. E’ preso dal prefazio della festa di Cristo Re, il cui regno è fatto “di verità e di vita, di santità e di grazia, di giustizia, di amore e di pace”. Don Umberto dice: “E’ proprio il nostro regno!” Lasciandosi prendere dall’entusiasmo,
aggiunge: “Dove sta la capitale di questo regno?” E risponde: “Al Divino Amore”. Non si sbaglia se si pensa che “Dio è Amore” (1 Gv 4,16). Per cui quando diciamo “Divino Amore”, diciamo la sua capitale. Anche perché l’Amore è il più importante degli attributi del Regno di Cristo e li riassume tutti: verità, vita, santità, pace… Leggiamo alcune parole di don Umberto:
Noi siamo i Figli, gli strumenti di questo Regno. Da qui dovrà partire tanto fuoco, che si diffonderà nel mondo. Ripenso al sogno della grotta e alle parole della Madonna: “Aiutami ad asciugare il sangue a Gesù, perché non c’è nessun altro che lo fa”. Ma noi non possiamo attuare quel Regno con la bacchetta magica e neppure con un sospiro, quale “voglio farmi santo!” Non possiamo arrivare a possedere la grazia di Dio nella fede, nella carità, nello zelo senza sentire il loro peso, specialmente nelle opere esterne. Non siamo degli angeli, ma uomini “pesanti” che hanno bisogno di essere resi più “leggeri” dalla Madonna, la sposa del Divino Amore. (cfr m 31.10.1955)
Il Padre aveva festeggiato, il giorno prima, il 55.mo anniversario della sua nascita. Non rimane chinato sul passato, ma vive quotidianamente l’«Avanti e… coraggio!», per cui dice:
Con questi pensieri è chiaro che i 55 anni passati sono un niente al paragone di quello che ancora si deve fare o che si dovrebbe fare. Ma, anche se campassi altrettanto, farei sempre tanto poco... Il tempo passa! Non dobbiamo fermarci a guardare quello che abbiamo fatto, quasi per averne una lode o un premio, ma dobbiamo essere accorti a vedere quello che ancora ci resta da fare. (cfr m 31.10.1955)
Parla il nostro Dio
Santo, santo, santo è il Signore degli eserciti. Tutta la terra è piena della sua gloria. (Is 6,3)
Il canone e la consacrazione
La preghiera eucaristica, iniziata con il prefazio, costituisce la norma (il canone) secondo cui deve compiersi l’azione sacra, nella quale l’offerta del sacrificio non è più un animale (come nell’Antico Testamento), ma lo stesso Gesù. Poiché Lui ha detto: “Fate questo in memoria di me” (Lc 22,19), noi dobbiamo continuare ad offrirlo. Egli non vuole darsi al Padre da solo ma con la sua Chiesa, fatta di battezzati che formano il suo Corpo mistico. Quindi la nostra presenza non può essere passiva, ma partecipazione vera al Sacrificio dell’Agnello di Dio. “Se qualcuno vuol venire dietro di me rinneghi se stesso, prenda la sua croce e mi segua” (Mc 8,34). Le quattro preghiere eucaristiche, proposte dal Concilio Ecumenico Vaticano II, sono il racconto dell’istituzione della Messa, avvenuta nell’ultima cena. Esso è fatto di parole sacre che esprimono la preghiera di azione di grazie e di perdono per i peccati. Il canone più usato è il secondo, essenzialmente identico a quello composto da Ippolito Romano verso il 215 d.C. Mentre nel 1° e nel 2 si domanda Dio di santificare il pane ed il vino, nel 3° e nel 4° lo si chiede allo Spirito Santo. E’ giusto invocarlo direttamente perché la consacrazione eucaristica è il prolungamento dell’Incarnazione, avvenuta in Maria per opera del Divino Amore.
Ora è il momento di agganciarci al Fondatore per scoprire come sente il suo sacerdozio, soprattutto nella Messa e al momento della consacrazione. Lo vive proiettato nella vita: Noi siamo un “altro Cristo”. Per cui il nostro sacerdozio è realmente la Messa che va partecipata con una fede certa, ma anche con una visione continua della vita vissuta nella nostra realtà. Non credo al sacerdozio come cosa mia e neppure a quello di Cristo come cosa sua, perché il suo e il mio sono una cosa sola, diciamo meglio una cosa identica in quanto il suo sacerdozio ha elevato la mia povertà umana alla sua stessa realtà divina, nella quale noi sprofondiamo e ci beatifichiamo. Dal primo aprile del 1923 ad oggi sono passati parecchi anni per il vostro povero Padre, ma io ho cercato con l'aiuto di Dio in ogni Messa, che celebro, di considerare meglio il mio sacerdozio. Ognuna, ve lo dico col cuore in mano, è una affermazione più vitale, più convinta, più evidente della sua importanza. Voglio dirvi che noi dobbiamo vivere questa realtà immergendoci in essa, vivendola, tenendola, palpandola nel canone della Messa (cfr m 03.10.1968).
Dopo queste parole si può comprendere quanto è stato detto da Madre Giovanna Mancini: “Al momento della consacrazione il Padre si trasfigurava nel volto” (Intervista del 12.09 1998). Lui credeva profondamente che, specialmente in quel momento, Gesù veniva e tutto il Cielo era presente con Lui: la Santissima Trinità come protagonista della salvezza, la Madonna come prima collaboratrice e gli Angeli e i Santi come aiuti preziosi. Anche perché i quattro canoni ci mettono direttamente in contatto con loro, passando dal Cielo alla terra e dalla terra al Cielo. Il Padre lo fa capire continuamente nelle sue meditazioni. Mi sia permessa un’immagine!
La consacrazione, attraverso Gesù che si immola “liberamente” (cfr canone II), è l’immediata comunicazione con l’internet di Dio dove lampeggiano siti celesti chiamati “Paradiso” e “Purgatorio”, con i quali possiamo collegarci senza il pericolo di essere disturbati dai virus del peccato. E’ il mistero della fede, possibile grazie alla presenza di
Cristo risorto presso il Padre, in attesa del suo ritorno sulla terra. Questa possibilità di restare collegati anche con il Cielo amplifica immensamente il sacerdozio battesimale dei fedeli e quello ministeriale del celebrante, sempre in unità con il Papa e il Vescovo della diocesi. E genera in tutti noi la gioia di sentirci un tutt’uno con Dio e con i fratelli. La “posta elettronica” della Comunione dei Santi funziona sempre e gratis da una parte e dall’altra, basta deciderci di usarla spesso. (cfr m 03.10.1968)
Il Fondatore dice:
Per conseguire la gloria di Dio e la salvezza delle anime bisogna essere persone di preghiera e di preghiera eucaristica. Ecco perché io amo sempre parlarvi della Messa, della adorazione, dell’Eucaristia in generale, per farvi gustare Gesù, che in questo Sacramento assicura la sua presenza divina ed umana. Quel Gesù con il quale, direbbe San Giovanni, abbiamo conversato, parlato, mangiato. (m 01.12.1970)
Concludiamo con la Madonna
La Madonna è la Madre di Gesù, Dio e Uomo. Se Lui è presente nel pane e nel vino consacrati, allora vi è presente anche Maria, perché il sangue di suo Figlio è quello ricevuto da lei. Quindi l'Eucaristia si spiega con la Madonna (cfr m 03.10.1968). Allora partecipiamo sempre alla Messa in sua compagnia: sarà la più bella Messa della nostra vita!
Parla Dio
Chi mangia la mia carne e beve il mio sangue ha la vita eterna ed io lo risusciterò nell’ultimo giorno. (Gv 6,54)
La preghiera del “Padre nostro” e il perdono
Come il canone inizia con il prefazio, che termina con le parole “uniti agli Angeli” e quasi sempre anche ai Santi, così lo stesso si conclude sempre con la loro evocazione. Noi desideriamo raggiungerli in cielo nella gloria. Che diamo di gran cuore a Dio Padre nello Spirito Santo per mezzo di Cristo, con Lui ed in Lui. Ci resta la preparazione alla Comunione.
Il “Padre nostro” è la preghiera migliore per farla, essendo l’espressione più completa della solidarietà con Dio e con tutti i fratelli. Desideriamo per Lui che sia santificato il suo nome, si realizzi il suo regno, sia fatta la sua volontà. E per noi e i nostri fratelli il pane quotidiano, il perdono, che essi hanno già da noi ricevuto, e la vittoria sulle tentazioni.
E’ chiaro che se facciamo pienamente la volontà di Dio, tutto il resto, contenuto nel Padre nostro, viene da sé. Ha ragione il Fondatore quando dice: Vorrei sapere quante volte nella tua vita hai detto il “Padre nostro” e hai ripetuto senza pensarci: Si faccia la volontà di Dio così bene in terra, come si fa in cielo. Non hai mai pensato che il Signore potrebbe cambiare le cose secondo il suo disegno senza tener conto del tuo? La Madonna, con il suo “Ecco l’ancella del Signore”, si è trovata subito nella perfezione della volontà di Dio. Noi dobbiamo imitarla (m 23.04.1969). Nel canone n.2, prima della consacrazione, il sacerdote pronuncia queste parole: “Egli, offrendosi liberamente alla sua passione, prese il pane…” Gesù aveva già detto: “Per questo il Padre mi ama: perché io offro la mia vita per poi riprenderla di nuovo” (Gv 10,17) L’amore non agisce mai nella costrizione! Leggiamo don Umberto:
Lo spirito dell’obbedienza nei Figli e nelle Figlie è quello degli indicatori stradali. La freccia stradale non parla, né scende dal suo palo per prenderci per il collo e dirci: passa di qua. Il voto o la promessa di obbedienza va assecondato spontaneamente, liberamente, in modo quasi da prevenire l’ordine del superiore. E così deve essere anche per i voti di povertà e di castità. (cfr m 16.03.1967)
Egli prega per questo, servendosi della colletta della 19.ma domenica dopo Pentecoste di quel tempo:
Dio onnipotente e misericordioso, allontana propizio da noi quello che può fare danno alla nostra vita spirituale affinché, agili di anima e di corpo, possiamo vivere con libertà i tuoi voleri, adempiendoli sempre con il sorriso sul volto. (m 30.09.1956)
Nel “Padre nostro”, accanto all’obbedienza a Dio, emerge anche la necessità del perdono. Chi fa la volontà di Dio deve anche perdonare il fratello o i fratelli che l’hanno offeso. E’ una logica conseguenza del “Rimetti a noi i nostri debiti, come noi li rimettiamo ai nostri debitori” (Mt, 6,12). In realtà il perdono è uno delle cose più difficili da praticarsi. C’è chi dice “Ti perdono, ma non dimentico!” Il che significa che non solo non ha perdonato l’offesa, ma l’ha registrata, pronto a rinfacciarla alla prossima occasione. Dio, quando perdona,
distrugge il peccato. Egli va incontro al figlio prodigo, lo abbraccia, lo bacia e dà ordini ai servi di mettergli subito il vestito più bello, l’anello al dito e i calzari ai piedi. Lo onora mettendolo nella stessa dignità di prima come se nulla fosse successo (cfr Lc 15, 20-25). Noi, creati a sua immagine e somiglianza, dobbiamo fare lo stesso, anche perché, se non perdoniamo completamente, non possiamo partecipare al Divin Sacrificio. (cfr Mt 5, 23-24 )
A questo proposito don Umberto dice:
L’ infinita misericordia del Cuore di Gesù la troviamo nell'Eucaristia, il Sacramento che predilige il peccatore, lo attira a sé e lo perdona. Gesù, nel rinnovare il suo sacrificio, toglie ogni volta i suoi peccati. (m 12.06.1956)
Ne consegue che se noi volutamente, come sacerdoti, non celebriamo la Messa o, come consacrati, non vi partecipiamo, togliamo a Gesù l’occasione di salvare il peccatore. E commettiamo una vera omissione! (cfr m 12.05.1956). Essa ci fa pensare soprattutto al sacerdote con grande amore fraterno e a pregare per lui come fa il Padre: Vergine santa, fa che il suo sacerdozio sia santo e immacolato e che lui possa essere come te il tesoriere della grazia di Dio, il dispensatore del suo amore per la salvezza di tutte le anime del mondo (cfr m 25.04.1954).
Parla il nostro Dio
Questo è il mio comandamento: che vi amiate gli uni gli altri, come io vi ho amato. (Gv 15,12)
La pace dell’Agnello, divenuto nostro Cibo
“L’Eucaristia crea comunione ed educa alla comunione”, che genera la pace (EdE 40). La parola “pace” in ebraico si dice “shalom” ed ha un significato molto più esteso di quello che pensiamo abitualmente: evoca tutte le prosperità possibili e si potrebbe tradurre con la parola “felicità”. Gesù, il Principe della pace, la porterà in maniera certamente totale e definitiva. Le due preghiere, che seguono il Padre Nostro, la implorano per il mondo intero attraverso la liberazione dal peccato e da ogni turbamento nell’attesa del ritorno del Messia. La domandano anche per la Chiesa che soffre per non avere ancora raggiunto l’unità con i fratelli separati. Quindi il sacerdote si rivolge ai fedeli augurandola a tutti e invitandoli ad esprimerne cordialmente un segno fra loro. Poi si recita o si canta l’ “Agnello di Dio”, immolato per noi (Gv 1,29), invocazione tanto cara ai primi cristiani, anche perché occupa un posto importante nell’Apocalisse.
Ora serviamoci delle parole del Fondatore: “Ecco l’Agnello di Dio che toglie i peccati del mondo!” Io do a voi. E’ quel Gesù che vive e regna nell'Eucaristia per essere nostro cibo, nostro sostegno, nostra vita nel Divino Amore. Quando lo riceviamo, ci sentiamo uniti in Lui come deificati, trasformati nella sua grazia, nella sua vita. Gli amici possono star vicini l’uno all’'altro, scambiarsi qualche parola, aiutarsi. Ma quando arriveranno a dare la vita, a consumarla interamente l’uno per l’altro? Gesù ha trovato il modo di donarla una volta sulla Croce e poi prolungarla continuamente nell’Eucaristia (cfr m 05.06.1964), affinché noi possiamo essere da Lui spiritualmente nutriti e dissetati in modo semplice e possibile a tutti.
E’ giunto il momento sublime della Comunione, in cui Egli si annulla apparentemente nel pane e nel vino per poter entrare nel nostro corpo, ma soprattutto nel nulla del nostro cuore, voluto dalla nostra umiltà. E’ anche il momento di dare a sua Madre, la Madonna, la possibilità di farlo sviluppare in noi che non vogliamo più essere “come fanciulli sballottati dalle onde e portati qua e là da qualsiasi vento di dottrina, secondo l’inganno degli uomini, ma come persone che crescono pian piano per arrivare alla statura del suo Figlio. (cfr Ef 4, 13-14)
E’ il grande momento dell’adorazione, della lode, del ringraziamento, della supplica. E’ il tempo in cui noi siamo, come in disparte, da soli con Lui che è l’Amico pronto ad insegnarci come imitarlo nella fortezza del sacrificio, dell'immolazione, della dedizione completa di noi stessi ai suoi disegni. Egli ci farà capire che non siamo sulla terra per servire il nostro interesse ma il suo, che corrisponde alla salvezza delle anime e alla glorificazione del suo amore in tutto il mondo. (cfr m 05.02.1957)
Ci siamo appena comunicati e già lo stiamo portando nel nostro corpo come la Madonna lo portava nel suo, con questa differenza che lei lo aveva ancora mortale, e noi lo abbiamo risorto e quindi immortale, già seme della nostra risurrezione, della quale ella ha goduto il primo frutto nell’Assunzione al cielo.
Sentiamo la gioia di essere con il Principe della pace.
Egli ha detto: “Vi lascio la pace, vi do la mia pace. Non come la dà il mondo, io la do a voi. “ (Gv 14,27)
Don Umberto ha da dirci qualche cosa:
“Non come la dà il mondo". La pace non sono la sicurezza, la tranquillità, i mezzi, il personale… che esso ci offre. Quella vera è la gioia di sentire Dio, di riconoscerlo in tutto e sempre, senza falsi sentimentalismi. Anche se siamo un po'aridi, ci troviamo nell’ angustia spirituale, soffriamo di incomprensioni, abbiamo perso una persona cara, … non cambia nulla. Sentire Lui dappertutto è la nostra gioia, la nostra vera pace. Noi la gustiamo di più in una Comunione, in un’adorazione, che non in tutti i discorsi del mondo, pur buoni e santi, compresi quelli dei superiori. Signore, dacci la forza di fare quello che vuoi, e poi comandaci quello che ti pare. (cfr m 15.05.1956)
La Madonna è la Regina della pace, perché è colei che è sempre stata fedele alla volontà di Dio. Questa genera, anche nel dolore, la sicurezza di piacere a Lui e quindi la calma dello spirito. Di questa pace ci riempie Gesù dopo la Comunione eucaristica! (cfr m 08.07.1972)
Parla il nostro Dio
Beati gli operatori di pace, perché saranno chiamati figli di Dio!” (Mt 5,9)
La Comunione, per fare comunione
L’Eucaristia è il Sacrificio e il Sacramento della pace. Ma questa non è possibile senza l’unità. Per cui l’effetto della Comunione è di stimolare ardentemente la persona, che ha ricevuto Gesù, a praticare l’amore vicendevole. Se essa, dopo essersi cibata del pane consacrato, non ama i fratelli, si può dire che non ha fatto comunione con Lui, poiché Lui si identifica in ognuno di loro (cfr Mt 25, 31-46).
Il Padre dice:
Io mi voglio ripromettere che i Figli e le Figlie siano un animo solo nell'amore di Gesù, grazie alla presenza della Madonna, e quindi abbiano lo stesso profilo e lo stesso orizzonte nelle loro opere. Bisogna attingere tutto questo nell'Eucaristia, dove si trova sempre la vera fonte dell'amore di Dio. (m 05.06.1956)
L’Eucaristia costruisce e rende credibile la comunità attraverso la Messa e la presenza di Gesù nel tabernacolo, l’orante che non si stanca mai di intercedere per noi. Egli ha detto: “Non prego solo per questi, ma anche per quelli che per la loro parola crederanno in me; perché tutti siano una cosa sola. Come tu, Padre, sei in me, siano anch’essi in noi una cosa sola, perché il mondo creda che tu mi hai mandato” (Gv 17, 20-21).
Il Fondatore parla dei vantaggi della vita comunitaria. Lo fa in modo spontaneo, con alcune coloriture personali interessanti:
Il primo vantaggio è quello di vivere o di ritrovarci insieme con gioia grazie al vincolo della carità soprannaturale, che viene da Dio e si estende in ciascuno di noi a seconda della propria disponibilità a riceverla. “Quanto è buono e soave che i fratelli vivano insieme!” (Sal 133, 1). La comunità vive di gioia quando vive lo spirito dell’Opera che deve sostenere. Chi non vive contento con i fratelli è segno che non ha lo spirito della carità e quindi della vita religiosa che ha scelto (m 30.01.1968).
E’ chiaro che in questo stare insieme non hanno posto le simpatie o le antipatie, le amicizie particolari, i rancori non repressi, la mancanza di trasparenza, ecc. In queste cose non c’è soprannaturalità ma soltanto, come dice il Fondatore, “umanità”, che non può innalzarsi da terra perché è priva delle ali dello Spirito Santo.
Il secondo vantaggio, sempre nel campo spirituale, è quello del buon esempio. Un proverbio dice: “Le parole muovono, ma gli esempi trascinano”. La nostra anima pura, fervorosa e santa può recare tanto bene ai fratelli. Forse essi non si accorgono nemmeno di questa influenza verso di loro, ma finiranno per avvertirla considerando gli effetti del buon esempio. Come il pezzetto di lievito, messo nella pasta, la fermenta tutta silenziosamente per farla diventare pane, così farà il buon esempio che non agisce attraverso la superbia o l’insegnamento clamoroso delle opere esterne, ma sempre
attraverso l’umiltà. Potrebbe succedere il contrario per cui un cattivo esempio può mettere in scompiglio tutta una famiglia religiosa.
Il terzo vantaggio è la preghiera in comune. Gesù ha detto che dove troverà due o tre che si riuniscono a pregare in nome suo, egli sarà e rimarrà in mezzo a loro. (E’ bene rilevare che “in nome suo” significa “nel suo amore” e quindi la sua presenza sottintende che quanti pregano si vogliano bene). Se io dico il rosario da solo è valido, ma se lo dico insieme a una consorella o a tante altre ho a mio vantaggio l’ affermazione di Gesù, che non avrei recitandolo per conto mio. Ecco l’utilità di pregare con la sicurezza che il Signore è con noi e accoglie la nostra preghiera. Ci sarebbero ancora tanti altri vantaggi spirituali, ma, per fare comunità, essi sono tutti connessi con questi tre aspetti fondamentali. E aggiunge: Col reciproco sostegno, abbiamo anche i vantaggi materiali e la completezza delle opere. (cfr m 19.11.1961 e 30.01.1968)
Concludendo si può dire che la Comunione con Gesù, quotidiana e fatta bene, ci assimila a Lui. Come il pane e il vino della terra, una volta entrati nel nostro corpo, diventano calorie a servizio di tutto l’essere umano, così avviene del Corpo e del Sangue di Cristo. Essi si trasformano in energia spirituale che ci rende agili collaboratori di Lui e della Madre sua nell’opera della salvezza.
Parla il nostro Dio
Erano assidui nell’ascoltare l’insegnamento degli apostoli e nell’unione fraterna, nella frazione del pane e nelle preghiere. (At 2,42)
La conclusione della Messa
Dopo la Comunione c’è l’orazione, il cui contenuto è generalmente proiettato verso il futuro. Anche su questa preghiera il Fondatore pone la sua attenzione. Riportiamo, anche a conclusione di tutte le riflessioni precedenti, quella che lui presenta nella Messa feriale del 20 novembre 1972:
Ti rendiamo grazie, Padre, per i tuoi santi doni e umilmente ti supplichiamo: L’Eucaristia, che Cristo tuo Figlio ha comandato di celebrare in sua memoria, ci faccia crescere tutti insieme nel tuo Divino Amore. Così come ci esorta S. Giovanni Apostolo all’inizio dell’Apocalisse scrivendo all’angelo della chiesa di Efeso: “Conosco le tue opere, la tua fatica, la tua costanza. Sei perseverante, hai sopportato molto per il mio nome, ma soprattutto non ti sei stancato! Ho però da rimproverarti che hai abbandonato l’ amore dei primi tempi, ricorda dunque da dove sei caduto, convertiti e compi le opere di prima” (cfr Ap 2,1-5).
Questo richiamo vale anche per noi perché, avanzando negli anni, nelle iniziative e nel lavoro, non basta che il Signore ci dia la grazia di perseverare e di sopportare tutto per amor suo. Non basta! E’ necessario non abbandonare il fervore primitivo! Ecco allora la preghiera che fa al caso nostro: O Signore, fa che l’Eucaristia quotidiana ci dia la grazia di camminare tutti insieme nel progresso del tuo amore, senza mai stancarci. (m 20.11.1972)
La Messa sta per finire! E’ giunto il momento che Dio onnipotente, Padre, Figlio e Spirito Santo, ci benedica e che la sua pace, augurataci dal sacerdote al termine della celebrazione, resti con noi, sempre.
Non lasciamo solo Gesù!
L’ora di adorazione
Il Padre raccomanda di fare ogni giorno un’ora di adorazione davanti al Santissimo Sacramento. Qualcuno potrebbe pensare che l’argomento meriterebbe un vasto approfondimento con un’ eventuale presentazione di un metodo che aiuti a passare meglio questo tempo prezioso. Esiste forse un manuale che insegni a due fidanzati o a due sposati come debbono amarsi? Si impara ad amare amando! Nel caso nostro lo Sposo è Gesù, che ha tutte le qualità per essere amato, perché è Lui che ci ha chiamati per primo a condividere la sua missione. Non resta che metterci a sua disposizione.
Per riuscirci bene dobbiamo far tacere in noi tutto quello che può disturbare questo incontro: le preoccupazioni, le arrabbiature, le incomprensioni… Egli non si fa sentire nei “rumori”. Leggiamo nella Bibbia: “Ci fu un vento impetuoso (…), ma il Signore non era nel vento. Dopo il vento ci fu un terremoto, ma il Signore non era nel terremoto. Dopo il terremoto ci fu un fuoco, ma il Signore non era nel fuoco. Dopo il fuoco ci fu il mormorio di un vento leggero. Come il profeta Elia l’udì si coprì il volto con il mantello, uscì e si fermò all’ingresso della caverna. Ed ecco sentì una voce che gli diceva: “Che fai qui, Elia?” Egli rispose: “Sono pieno di zelo per il Signore…” (1 Re 19, 11-14)
L’ora di adorazione deve essere come il mormorio del vento leggero, che permette di avvertire il dolce soffio mosso dallo Spirito Santo, il Divino Amore. Ma tutto questo è detto molto meglio dal Padre:
Se siamo Figli o Figlie, noi abbiamo tutti un’anima che ha lo stesso sposo, Gesù. Lo cerchiamo nell'Eucaristia e lo troviamo in modo appassionato nella Santa Comunione e nell’ora di adorazione. (cfr m 12.08.1961)
Essa è l’incontro di due “amanti”, nel quale il tempo trascorre fra un atto di amore ed un altro. Noi passiamo di contemplazione in contemplazione, di godimento in godimento. Alla fine ci sembra che, a forza di dire: "Gesù mio!", tutto si sia svolto in un minuto. Magari non abbiamo detto niente, ma abbiamo guardato; non abbiamo visto nulla, ma abbiamo capito; non abbiamo parlato, ma abbiamo sentito... Non siamo stati in estasi, ma siamo rimasti e rimaniamo in certo modo incantati e abbiamo sentito tanto bene che, se Gesù ha detto: "E' una grande gioia per me stare con i figli degli uomini", noi possiamo dirgli a nostra volta: "E' una grande gioia per noi stare con te!" L’ora è già passata! Non abbiamo detto nulla, ma abbiamo capito tante altre cose. Ci siamo accorti del contatto avuto con Lui e ce lo siamo goduto. (m 19.03.1955)
La “Casa Sostegno”
L’amore del Fondatore al Santissimo Sacramento era tale che voleva costruire la cosiddetta “Casa Sostegno” per le Figlie e i Figli, soprattutto anziani o malfermi in salute, disposti all’adorazione continua per non lasciare mai solo Gesù e nel contempo sostenere le opere della Madonna del Divino Amore. Ne parla molte volte nelle sue
meditazioni. Mi limito a tre citazioni, di cui la seconda e la terza hanno il valore di un monito profetico.
La prima riafferma il valore dell’adorazione. La missione di voi Suore, di noi Sacerdoti e Piccoli Figli è questa: Tutta l’Opera della Madonna deve avere lo spirito di sconvolgere il mondo silenziosamente, ma potentissimamente, con la forza soprannaturale, che agisce dentro, agisce sotto… Ne deriva l’importanza dell’adorazione a Roma (al Vicolo) e al Divino Amore. Tutto viene dalla sua forza intima e spirituale, dalla quale noi attendiamo la soluzione di tutti i problemi riguardanti le opere della Madonna del Divino Amore per la salvezza delle anime (m 14.03.1954).
La seconda dice: Vi ricordo di ridestare in voi la fede nella “Casa Sostegno” delle opere del santuario, la quale è rimasta ancora al suo piccolo cippo mentre due anni fa, l’11 febbraio 1955, avevo detto che bisognava metterci sopra un’immagine della Madonna del Divino Amore. E’ rimasto scritto sulla carta! Non fa niente: la Madonna l’abbiamo nel cuore. Lei ha detto che per risolvere le questioni del mondo ci vogliono la preghiera e la penitenza. La “Casa Sostegno”, che io volevo fondare sul suo suolo, verrà. Non abbiate paura! Nel calendario di Dio è scritta l’ora. Io non la conosco, ma c’è. Per rinsaldare nel nostro animo i propositi di quei giorni, alla fine dell’anno mariano (1954), abbiamo istituito l’adorazione perenne al Santuario e alla chiesa di Roma (m 09.02.1957).
Dodici anni dopo ripeterà, esemplificando:
Ho visto all’interno del Cottolengo di Torino due Istituti di clausura che non si occupano dei malati, dei ricoverati, dei circa quindicimila ospiti, no! Pensano a pregare e fanno dei lavori, anche pesanti, nella loro clausura… Tengono il Santissimo nella chiesa che sta tra le opere e la casa. Da una parte ci sono le claustrali che pregano e dall’ altra suore, ospiti, malati, sani, vecchi, giovani che si susseguono giorno e notte nell’adorazione. Anche noi avremo questo? Credo di sì! Non sono profeta, non so se oggi, domani, dopodomani, ma l’avremo. Ci potrebbero essere anche anime che chiedono di stare un mese in preghiera presso il santuario del Divino Amore… (m 04.01.1969).
La visita
Quando passiamo davanti ad una chiesa o ad una cappella entriamoci per un breve saluto al Santissimo, il nostro “tesoro” sulla terra. Così imitiamo il Padre che lo praticava sempre, fin da giovane seminarista. Appena entrato nella cappella, faceva la genuflessione, ripeteva a Gesù Sacramentato "Per te!", volendo dirgli che faceva tutto per amor suo. Egli dice: Questa paroletta mi è stata insegnata e non l'ho più lasciata (m 09.02.1969).
Prima della parola: fine!
Il viatico
Noi preghiamo questo Gesù, fattosi prigioniero d’amore per noi, affinché sia Lui, prima della nostra morte, a farci visita con il Santo Viatico, come cibo che ci nutra prima di spiccare il volo dalla terra verso il cielo. (cfr m 18.04.1957)
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Il contenuto di questo tascabile giunge alla fine. Lasciamone la penultima parola al Papa: “Nell’umile segno del pane e del vino, transustanziati nel suo corpo e nel suo sangue, Cristo cammina con noi, quale nostra forza e nostro viatico, e ci rende per tutti testimoni di speranza. Se di fronte a questo Mistero la ragione sperimenta i suoi limiti, il cuore illuminato dalla grazia dello Spirito Santo intuisce bene come atteggiarsi, inabissandosi nell’adorazione e in un amore senza limiti”. (EdE 62)
Questa sera, venerdì 20 agosto 2004, ho terminato di scrivere quanto mi è stato chiesto dalla Madre Generale Maria Lucia Bonaiti. Ho cercato nel diario del Fondatore se questa data corrispondesse a qualche suo pensiero od avvenimento. Ho trovato queste parole, da lui scritte lunedì 20 agosto 1917 (87 anni fa). Per cui lascio l’ultima parola a questo diciassettenne che già lavora spiritualmente per annullarsi nel distacco da tutto per amore di Dio, come Gesù l’ha fatto durante la sua vita e soprattutto sulla croce. Il giovane seminarista scrive:
Aridità - lumi sull’umiltà, specialmente riguardo al mio niente. “Mio Dio, voglio fare uno studio speciale per non sentire più - con passione - ne’ gioia ne’ pena, per non sentire più altro che voi. Propongo anche di non porre più l’affetto in nessuna cosa, tranne che in voi”.
Ringrazio la Madonna, don Umberto e la Madre Generale per avermi dato la possibilità di valorizzare molto di più il mio sacerdozio e soprattutto la celebrazione della Messa. E’ un altro dono ricevuto dall’Alto!
Testimonianza, fatta a viva voce e da lei stessa controfirmata, di Madre Maria Addolorata Gentili, già maestra delle novizie al tempo del Fondatore e della Confondatrice, Madre Melena Pieri:
“Don Giorgio, le posso assicurare che quello che ha scritto finora sul Padre corrisponde a quello che lui diceva e sentiva. Lei ha capito bene il suo carisma e lo trasmette fedelmente in maniera molto oggettiva”. (Casa Madonna, 17.09.2004)
Quando assistiamo alla Prima Comunione dei nostri bambini, dobbiamo sempre ripensare
- io ci penso tanto - alla nostra, che fu una festa di gioia. Ci è stato detto: “E’ stato il più bel giorno della tua vita perché è stato il tuo primo incontro con Gesù”.
Forse a quell’età non ne avevamo tutta la consapevolezza!
Oggi, riflettendoci bene, possiamo dire che lo fu veramente. E in un certo modo quel giorno fu anche più bello di quello dell’ordinazione sacerdotale e della professione religiosa, perché a queste ultime siamo potuti arrivare attraverso mille e mille comunioni, mille e mille incontri con Gesù. (m 13.04.1969)